Corriere della Sera

Saveria Pellicanò

- Brunella Sandri,

Ester, un’altra mamma se ne è andata. I giorni passano, le storie si dimentican­o, ma i figli delle vittime non dimentican­o no, loro no, perché non potranno mai più guardare quegli occhi, udire quella voce, perché loro non potranno più chiamare la mamma. A proposito delle parole del capo della polizia Franco Gabrielli io aggiungo che gli stalker non sempre hanno bisogno del carcere, molti di loro sono persone malate che hanno bisogno di essere ascoltate e curate, ecco questo si può e si deve fare. Credo che almeno questo in aggiunta a quanto si sta già facendo si possa e si debba fare.

Reggio Calabria

Ennesimo femminicid­io, ennesima vittima dello stalking. Siamo stufi di sentire in queste occasioni, che si raccomanda alle donne perseguita­te da amanti e mariti che non si rassegnano di essere lasciati, di denunciare: denunciate, non abbiate paura, rivolgetev­i alle forze dell’ordine. E poi alla notizia del puntuale omicidio, ecco che la vittima aveva già denunciato non una ma più volte, lo stalker. Sbaglio o c’è qualcosa da rivedere nella procedura penale, si dà il Daspo ai tifosi esagitati per un’intemperan­za allo stadio e non si riesce ad allontanar­e un molestator­e, possibile/probabile omicida? Povere donne!

Dino Battistel, Treviso Le lettere firmate con nome, cognome e città e le foto vanno inviate a «Lo dico al Corriere» Corriere della Sera via Solferino, 28 20121 Milano Fax: 02-62827579

Bisogna fare il possibile per fermare gli stalker

lettere@corriere.it lettereald­ocazzullo @corriere.it

Aldo Cazzullo - «Lo dico al Corriere» «Lo dico al Corriere» @corriere

Caro Aldo,

che idea si è fatto degli scontri tra poliziotti e «movida» a Torino?

Cara Brunella,

LBrescia

a violenza su un agente in divisa è odiosa e inaccettab­ile: anche perché la vittima è un pubblico ufficiale, che in quel momento rappresent­a lo Stato, quindi tutti noi. Purtroppo l’esperienza da cronista mi ha insegnato che quasi mai i manganella­ti sono i responsabi­li delle violenze, bensì i passanti che non sono riusciti a scappare. A Genova nei giorni sciagurati del G8 ho visto manganella­re pensionati, ragazzini, suore. I «duri» dei centri sociali, abituati a picchiare e a fuggire, di solito in piazza le danno e non le prendono.

Fatta questa premessa, è evidente che a Torino è in corso una mutazione quasi antropolog­ica. La città e i suoi abitanti non sono più gli stessi. Vi arrivai nel 1985, vivevo a San Salvario, che non era come adesso il luogo della movida ma sempliceme­nte il quartiere popolare e piccolobor­ghese della stazione. Nell’88 entrai alla Stampa. Dopo le 11 di sera in tutta la città restavano due sole pizzerie aperte, a volte la cena era interrotta dai regolament­i di conti della mala. Due anni dopo presi casa nel quadrilate­ro romano, la parte più antica del centro storico, dove cento metri quadri costavano la metà di un monolocale a Roma. Il primo giorno trovai nell’androne un ragazzo che si bucava, mi guardò stupito del mio stupore. Mi resi conto che era una scena abituale, una volta un altro ragazzo sbagliò la vena, in pochi minuti si coprì di sangue, l’ambulanza arrivò appena in tempo. Da tempo la buona borghesia torinese aveva abbandonat­o i palazzi barocchi agli immigrati prima dal Sud Italia, poi dal Nord Africa, per rifugiarsi alla Crocetta o in collina. Oggi il quadrilate­ro romano è tutto un’enoteca, anzi un wine-bar. Vanchiglia, dove c’è stata la rissa l’altra sera, era un sonnacchio­so quartiere di pensionati e studenti; ora si sta fuori anche d’inverno, grazie ai «funghi» che riscaldano i dehors come nelle città turistiche, quale Torino è diventata.

«Porca città francese» diceva il Duce, accolto gelidament­e dagli operai. Ora Torino, nel bene e nel male, è una città italiana. L’Avvocato distinguev­a Torino dall’Italia: «L’Italia digerisce tutto, la sua forza sta nella mollezza degli apparati, nella pieghevole­zza degli uomini politici. È un materasso, il sistema italiano. Pasolini avrebbe detto una ricotta. E noi torinesi ci siamo sempre sentiti un po’ stranieri in patria proprio per questo: siamo una gente montanara. Torino ricorda le antiche città di guarnigion­e, i doveri stanno prima dei diritti, l’aria è fredda e la gente si sveglia presto e va a letto presto, l’antifascis­mo è una cosa seria, il lavoro anche e anche il profitto». Oggi Torino assomiglia all’Italia, e viceversa.

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