La spesa pubblica italiana? È inferiore alla media Ue
Il documento sulla spending review presentato in Parlamento contiene una serie di notizie assolutamente sorprendenti e totalmente contrarie alla rappresentazione che i media hanno dato in questi anni degli sforzi fatti per tagliare la spesa pubblica.
Sorpresa 1: la spending review ha ridotto in tre anni i costi di 30 miliardi all’anno grazie ai quali la crescita della spesa (escluse pensioni e interessi sul debito) tra il 2013 e il 2016 è stata pari a zero contro quasi il 7% della media europea.
Sorpresa 2: anche grazie a questi sforzi l’Italia può vantare oggi un livello di spesa, sempre al netto di pensioni e interessi sul debito, nettamente inferiore alla media europea. La Pubblica amministrazione (Pa) in Italia non solo ha ridotto i costi per davvero ma spende anche meno degli altri.
Sorpresa 3: l’approccio è stato profondamente diverso dai «tagli lineari dall’alto» del passato. Il metodo questa volta è innovativo, fa uso di logiche organizzative e strumenti di informazione all’avanguardia. Soprattutto fa leva sul lavoro di 1.000 dirigenti capaci e motivati della Pa e sui dati a disposizione delle amministrazioni centrali italiane che sono i più dettagliati d’Europa.
Si è così riusciti ad aggredire il problema della autonomia degli enti locali in aree di spesa come la sanità che fanno sì che, in media, gli «stent» dimostrino differenze di costo da 1 a 3 volte all’interno della stessa regione. Passando dal 27% di gare centralizzate a quasi il 90%, ci si allinea sul prezzo più basso e si hanno più sconti perché si compra di più. La micro analisi dal basso ha anche permesso di chiudere 120 comuni e 15 caserme, identificando altri immobili da chiudere. Nella sicurezza si è scoperto che stazioni di Polizia, Carabinieri e Gdf erano in sovrapposizione in zone dove c’è meno criminalità e mancavano dove ce n’è di più: così a Roma si chiudono 10 stazioni di Polizia/Carabinieri e se ne aprono 7 in luoghi dove sono necessari, riducendo i costi e migliorando la sicurezza. Si può essere più efficienti e anche migliorare il servizio.
Questi dati, davvero sorprendenti anche per i lettori assidui delle pagine economiche dei giornali, devono far riflettere su una domanda: ma se questi risultati sono così buoni, perché nessuno ne parla? Certamente c’è il problema che i conti pubblici italiani rimangono fragili. Ma metà della spesa pubblica non è aggredibile perché si tratta di pensioni ed interessi sul debito. Poi, siccome l’economia non cresce, il congelamento della spesa pubblica non riesce a incidere per nulla sul debito e poco sul deficit (che cala solo dello 0,6%). Non si tratta solo di incapacità degli esperti a leggere e capire i numeri, lo Stato ha anche le sue responsabilità. Innanzitutto c’è il gigantesco problema della scarsa trasparenza dei nostri conti pubblici: chi scrive legge facilmente il bilancio dei conti dello Stato inglese ma è completamente incapace di leggere quelli dello Stato italiano. C’è anche un problema che riguarda la comunicazione politica, quella fatta dal governo, e quella commentata dai media. Il governo Renzi, che pure aveva scelto un commissario con il profilo giusto, ha comunicato le iniziative di riduzione di spesa soprattutto in chiave anti-casta: dalla vendita delle auto blu (modestissimi introiti) alla riduzione dei parlamentari (bocciata dal referendum). Il governo attuale è stato più sobrio nelle dichiarazioni, ma tra i pochi annunci fatti non compaiono finora comunicazioni rilevanti sull’efficienza della spesa pubblica. I media si sono allineati: grande enfasi sui bonus (anche gli 80 euro, giustamente conteggiati nella relazione sulla spending review come riduzione delle tasse, sono stati trattati più come una «mancia», implicitamente una spesa). Abbondano poi i commenti come quelli recenti di un noto quotidiano economico che ha scritto che dovevamo imparare dal Regno Unito a controllare la spesa pubblica (il Regno Unito è molto più inefficiente di noi). O come la fake news diffusa da un (peraltro bravo e famoso) giornalista che, commentando l’ennesimo caso di malasanità in Lazio, ha scritto che la spending review aveva tagliato le ambulanze (falso: sono aumentate). L’immagine del politico italiano spendaccione vende bene all’estero e il sospetto dell’elettorato dei Paesi del Nord Europa, che spinge al famoso «rigore» nei nostri confronti, ne risulta alimentato. È vero che il motto dei nostri media è che le cattive notizie fanno più presa di quelle buone ma, se nessun giornale italiano parla dei successi del nostro Paese nel ridurre la spesa pubblica, cosa dobbiamo aspettarci dai media tedeschi?
Le elezioni francesi ed inglesi hanno dimostrato, per versi opposti, che correre dietro ai luoghi comuni non paga e che un discorso politico controcorrente può essere sorprendentemente apprezzato. Theresa May ha perso un’elezione che aveva apparentemente in tasca correndo dietro ai luoghi comuni dei tabloid, mentre Emmanuel Macron ha asfaltato tutti gli avversari, partiti tradizionali e nuovi populismi, con un discorso politico proEuropa e pieno di ottimismo, con l’Unione Europea ai minimi storici e nel Paese più cinico d’Europa verso i suoi politici.
È ora che anche i politici e i media italiani prendano nota.
I tagli La revisione della spesa pubblica ha permesso di chiudere 120 Comuni e 15 caserme, identificando altri immobili da valorizzare sul mercato