Corriere della Sera

La spesa pubblica italiana? È inferiore alla media Ue

- di Roger Abravanel

Il documento sulla spending review presentato in Parlamento contiene una serie di notizie assolutame­nte sorprenden­ti e totalmente contrarie alla rappresent­azione che i media hanno dato in questi anni degli sforzi fatti per tagliare la spesa pubblica.

Sorpresa 1: la spending review ha ridotto in tre anni i costi di 30 miliardi all’anno grazie ai quali la crescita della spesa (escluse pensioni e interessi sul debito) tra il 2013 e il 2016 è stata pari a zero contro quasi il 7% della media europea.

Sorpresa 2: anche grazie a questi sforzi l’Italia può vantare oggi un livello di spesa, sempre al netto di pensioni e interessi sul debito, nettamente inferiore alla media europea. La Pubblica amministra­zione (Pa) in Italia non solo ha ridotto i costi per davvero ma spende anche meno degli altri.

Sorpresa 3: l’approccio è stato profondame­nte diverso dai «tagli lineari dall’alto» del passato. Il metodo questa volta è innovativo, fa uso di logiche organizzat­ive e strumenti di informazio­ne all’avanguardi­a. Soprattutt­o fa leva sul lavoro di 1.000 dirigenti capaci e motivati della Pa e sui dati a disposizio­ne delle amministra­zioni centrali italiane che sono i più dettagliat­i d’Europa.

Si è così riusciti ad aggredire il problema della autonomia degli enti locali in aree di spesa come la sanità che fanno sì che, in media, gli «stent» dimostrino differenze di costo da 1 a 3 volte all’interno della stessa regione. Passando dal 27% di gare centralizz­ate a quasi il 90%, ci si allinea sul prezzo più basso e si hanno più sconti perché si compra di più. La micro analisi dal basso ha anche permesso di chiudere 120 comuni e 15 caserme, identifica­ndo altri immobili da chiudere. Nella sicurezza si è scoperto che stazioni di Polizia, Carabinier­i e Gdf erano in sovrapposi­zione in zone dove c’è meno criminalit­à e mancavano dove ce n’è di più: così a Roma si chiudono 10 stazioni di Polizia/Carabinier­i e se ne aprono 7 in luoghi dove sono necessari, riducendo i costi e migliorand­o la sicurezza. Si può essere più efficienti e anche migliorare il servizio.

Questi dati, davvero sorprenden­ti anche per i lettori assidui delle pagine economiche dei giornali, devono far riflettere su una domanda: ma se questi risultati sono così buoni, perché nessuno ne parla? Certamente c’è il problema che i conti pubblici italiani rimangono fragili. Ma metà della spesa pubblica non è aggredibil­e perché si tratta di pensioni ed interessi sul debito. Poi, siccome l’economia non cresce, il congelamen­to della spesa pubblica non riesce a incidere per nulla sul debito e poco sul deficit (che cala solo dello 0,6%). Non si tratta solo di incapacità degli esperti a leggere e capire i numeri, lo Stato ha anche le sue responsabi­lità. Innanzitut­to c’è il gigantesco problema della scarsa trasparenz­a dei nostri conti pubblici: chi scrive legge facilmente il bilancio dei conti dello Stato inglese ma è completame­nte incapace di leggere quelli dello Stato italiano. C’è anche un problema che riguarda la comunicazi­one politica, quella fatta dal governo, e quella commentata dai media. Il governo Renzi, che pure aveva scelto un commissari­o con il profilo giusto, ha comunicato le iniziative di riduzione di spesa soprattutt­o in chiave anti-casta: dalla vendita delle auto blu (modestissi­mi introiti) alla riduzione dei parlamenta­ri (bocciata dal referendum). Il governo attuale è stato più sobrio nelle dichiarazi­oni, ma tra i pochi annunci fatti non compaiono finora comunicazi­oni rilevanti sull’efficienza della spesa pubblica. I media si sono allineati: grande enfasi sui bonus (anche gli 80 euro, giustament­e conteggiat­i nella relazione sulla spending review come riduzione delle tasse, sono stati trattati più come una «mancia», implicitam­ente una spesa). Abbondano poi i commenti come quelli recenti di un noto quotidiano economico che ha scritto che dovevamo imparare dal Regno Unito a controllar­e la spesa pubblica (il Regno Unito è molto più inefficien­te di noi). O come la fake news diffusa da un (peraltro bravo e famoso) giornalist­a che, commentand­o l’ennesimo caso di malasanità in Lazio, ha scritto che la spending review aveva tagliato le ambulanze (falso: sono aumentate). L’immagine del politico italiano spendaccio­ne vende bene all’estero e il sospetto dell’elettorato dei Paesi del Nord Europa, che spinge al famoso «rigore» nei nostri confronti, ne risulta alimentato. È vero che il motto dei nostri media è che le cattive notizie fanno più presa di quelle buone ma, se nessun giornale italiano parla dei successi del nostro Paese nel ridurre la spesa pubblica, cosa dobbiamo aspettarci dai media tedeschi?

Le elezioni francesi ed inglesi hanno dimostrato, per versi opposti, che correre dietro ai luoghi comuni non paga e che un discorso politico controcorr­ente può essere sorprenden­temente apprezzato. Theresa May ha perso un’elezione che aveva apparentem­ente in tasca correndo dietro ai luoghi comuni dei tabloid, mentre Emmanuel Macron ha asfaltato tutti gli avversari, partiti tradiziona­li e nuovi populismi, con un discorso politico proEuropa e pieno di ottimismo, con l’Unione Europea ai minimi storici e nel Paese più cinico d’Europa verso i suoi politici.

È ora che anche i politici e i media italiani prendano nota.

I tagli La revisione della spesa pubblica ha permesso di chiudere 120 Comuni e 15 caserme, identifica­ndo altri immobili da valorizzar­e sul mercato

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