Nella Russia del 1917 non presero il potere gli operai
Circa un mese prima della rivoluzione d’Ottobre che avrebbe portato i bolscevichi al potere, ricorda il docente di Letteratura russa Guido Carpi nel libro Russia 1917 (Carocci, pagine 199, 17), Lev Trotsky accusò il governo provvisorio «borghese» di non avere «alcuna intenzione di convocare l’Assemblea Costituente». Dopo la presa del Palazzo d’Inverno le elezioni si tennero, ma furono proprio i bolscevichi a sciogliere subito la Costituente, nella quale erano in minoranza rispetto al Partito socialista rivoluzionario, erede del populismo russo e rappresentativo delle masse contadine. «A chi può dar mai noia il suono delle sparatorie?», domandò sarcastico lo stesso Trotsky per intimidire i socialisti moderati, mentre l’insurrezione armata da lui diretta e voluta da Lenin era in corso a Pietrogrado. Ma vent’anni dopo le scariche di fucileria degli uomini di Stalin avrebbero sterminato i suoi seguaci, più molti altri cittadini sovietici che erano solo vagamente sospetti di trotskismo. La lettura del saggio di Carpi,
che dà la parola in modo imparziale ai sostenitori e agli avversari del bolscevismo, rende bene l’idea della tragedia vissuta dalla Russia cento anni fa: una rivoluzione, sfociata in guerra civile, che oggi quel Paese non ha una gran voglia di celebrare, mentre trova ancora numerosi esaltatori in Occidente, dove non ne abbiamo vissuto le conseguenze dirette. Lascia un po’ perplessi, a tal proposito, anche la conclusione del libro di Carpi, in cui l’autore, citando il regista Evgeny Vakhtangov, sembra accreditare l’idea che la classe operaia russa abbia preso realmente il potere nel 1917, mentre gli anni successivi, con il consolidamento del regime comunista monopartitico a economia burocratizzata, avrebbero visto i lavoratori subire un’oppressione assai più violenta di quella, pur terribile, degli zar.
La dittatura Trotsky reclamava la Costituente ma poi il suo partito la sciolse subito