Pezzali: inno alla radio, con nostalgia «Il mio brano esalta l’immaginario pop, alla soglia dei 50 anni ho sempre voglia di divertirmi»
La parola «all» cerchiata. Un punto di domanda. Una faccina colpita da un martello. Un omino che corre. È il testo di «Le canzoni alla radio», il nuovo singolo di Max Pezzali. Così però lo può capire soltanto l’autore. In realtà è il metodo di Max per imparare a memoria le parole dei suoi brani. Il termine inglese per «tutto», ad esempio, lo aiuta a ricordare la frase «C’è una musica per tutto». Il punto interrogativo evoca il passaggio «chi si è perso e non sa dove andrà». Lo smile richiama le parole «batte in testa». Il personaggio stilizzato «un giorno scapperà». «Faccio dei disegni, rigorosamente carta e penna, che mi aiutano a ripassare i testi. È un metodo che mi serve per attivare la memoria visiva».
«Le canzoni alla radio» è impreziosita dalla chitarra di Nile Rodgers, mente degli Chic che ha messo lo zampino in mille tormentoni, ultimo «Get Lucky» dei Daft Punk. Come lo ha convinto?
«Mentre scrivevo il pezzo ho usato un software che permette di suonare la chitarra anche a chi non è capace. Mi immaginavo una cosa alla Nile Rodgers e, grazie al contatto di Charlie Rapino, discografico e talent scout italiano di base a Londra, ho avuto il suo indirizzo email. Ero alla tastiera paralizzato dall’emozione. Lui in fondo è il dio del funk. Mi sono anche concesso una battuta dicendogli che mandare un provino a lui era come calarsi i Sorriso Max Pezzali (49 anni) nel video del suo nuovo singolo «Le canzoni alla radio» pantaloni davanti a un pornodivo del livello di John Holmes».
Ha funzionato...
«Sembra un luogo comune, ma i più grandi sono i più disponibili. Ci ha anche messo delle sue idee e alla fine ha si sente la differenza».
In poche settimane ha registrato la canzone e l’ha mandata alle radio. I vantaggi del digitale?
«Dalla scrittura all’uscita sono passate tre settimane. Questo brano è qualcosa di estemporaneo senza collegamenti con quello che ho fatto prima o con quello che farò. Al nuovo disco e ai 25 anni di carriera inizierò a pensare dopo l’estate. A 50 anni devi avere uno stimolo per divertirti senza pensare a un’agenda precisa. Devi fare cose che divertono».
Ci sono momenti della carriera in cui si è annoiato?
«A volte finisci per romperti di te stesso. Hai la percezione di fare qualcosa che non ti piace, qualcosa di troppo prevedibile. È lì che devi tirare fuori l’extra capace di stupirti, come i campioni di calcio quando ritrovano lo spirito del palleggio da favela. Con questa canzone cerco di spiegare perché faccio questo lavoro. È la mia dichiarazione d’amore per il pop».
Prendiamo spunto dal titolo e apriamo la playlist dei ricordi. Che cosa ascoltava alla radio?
«Durante l’adolescenza, nel momento di conflitto col mondo adulto, Vasco e il primo Finardi. Poi sono arrivati Depeche Mode, Springsteen e Rolling Stones. Ma se penso a una canzone è “Blue Monday” dei New Order: mi ricorda la Golf di mio padre e quel momento in cui la radio raccontava la mia passione nascente per la musica underground».
La radio aveva il potere di creare un immaginario pop e rock. Con lo streaming si è perso quel fascino?
«Si è persa la forza di evocazione collettiva, ma resta quella personale. Una canzone è come una nota vocale che quando riapri ti riporta al primo momento in cui l’hai sentita. La radio era un veicolo che arrivava a tutti. Cosa che non è riuscita alla televisione. Con lo streaming è tutto più frammentato, non c’è più qualcosa di unificante».
A volte finisci per annoiarti e hai la percezione di fare cose prevedibili È lì che devi tirare fuori l’extra
Una critica alla tecnologia da un autodichiarato nerd?
«Ebbene sì. Da anni ho digitalizzato tutta la mia vita ma quando cerco qualcosa non la ritrovo più. L’ho capito qualche anno fa quando ho scritto la mia autobiografia: la scatola delle fotografie di mia madre batteva qualunque supporto digitale o nuvola».