Corriere della Sera

Gallinari: il basket? I segreti scoperti grazie alla mamma

Il giocatore: a Milano finanzio i campetti in cui sono cresciuto

- Di Luca Mastranton­io

Per chi l’ha dedicata al basket, la vita è una lunga somma di attimi. Nel campo, dove si corre contro il tempo e lo si dilata in maniera calcolata, ma anche in luoghi inconsueti, come una salaparto, dove una frazione di secondo può regalarti una gioia immensa: «Come quando è arrivato il fratellino che tanto desideravo», racconta il cestista Danilo Gallinari, profession­ista nell’Nba da oltre 15 milioni di dollari a stagione, nato a Sant’Angelo Lodigiano l’8 agosto (ovvero 8), del 1988. L’8, numero del destino, Gallinari se l’è tatuato sulla schiena, con il fuoco del Leone (il suo segno), un Gallo e le iniziali di mamma Marilisa, di papà Vittorio e del fratello Federico, al posto dei punti cardinali. Figlio d’arte, nel 2008 il Gallo lascia l’Olimpia di Milano per i New York Knicks; dal 2011 è ai Denver Nuggets: a contratto scaduto, non mancano le proposte, e se il futuro è da decidere, il presente è azzurro: il 31 agosto prossimo iniziano gli Europei.

Incontriam­o l’ala della nazionale all’Hotel Gallia di Milano, dopo un sopralluog­o al parco Vittorio Formentano (o Parco Marinai d’Italia), dove il Gallo inaugurerà a settembre un campetto da basket completame­nte rifatto, primo passo del progetto We Play-ground Together, che lo vede impegnato (anche finanziari­amente) in prima persona, con l’amico Michele Ponti e Prodea group, per recuperare alcuni campetti di Milano nei prossimi anni, anche periferici. Lei gioca in Nba da 10 anni ma la avvistano spesso nei campetti di Milano. Nostalgia?

«Lì è nata la mia passione e a me piace ancora giocare dove capita, con gli amici, è una delle cose più belle di questo sport. C’è sempre qualcuno che dice di andare a fare due tiri e allora andiamo al campo, chiediamo alle 3 o 4 persone che in genere troviamo se possiamo giocare e in pochi minuti ci troviamo in 100! Perché mandano messaggini, postano foto... Sono felice di poter dare una mano a sistemare alcuni di

questi campetti, a Milano ce ne sono 129, un patrimonio da valorizzar­e, sportivo e umano, sociale, con tanti ragazzi che hanno culture diverse. Sono contento che l’Assessore Roberta Guarnieri abbia accolto la mia proposta». Un suo ricordo d’infanzia dei campetti?

«Le lunghe passeggiat­e, per le vie di Milano e di altre città, dove ci potava papà che giocava a basket: mamma aveva la borsetta e portava il pallone, io la seguivo, ci fermavamo in un campetto e tiravo per ore e ore; lei mi guardava, è incredibil­e quello che mi ha insegnato, le mie doti sportive vengono da lei, era un’atleta». Ci può essere spazio per altre donne?

«Ora sono single, vediamo in futuro. Vorrei sposarmi, fare una famiglia come la mia, con due figli. Come nomi, Francesca e Riccardo». Le caratteris­tiche della sua donna ideale.

«Indipenden­te, intelligen­te, di grande personalit­à, che ha viaggiato per il mondo e conosce culture diverse. Caratteris­tiche difficili eh?» Quante ne ha trovate finora?

«Le mie storie durano poco. Il record è un anno e due mesi. Lascio io, appena vedo che non ci sono compatibil­ità. Non ho rinunciato all’amore per il basket, ma con il lavoro non riesco a dare a una donna il tempo che merita». Con quello che guadagna, lei è un ottimo partito. In tante si saranno fatte avanti.

«Ma ho sempre declinato. Una volta ero a Central Park, a New York, e una fan si è presentata con la mamma, che le ha detto “dai è una vita che aspetti di fare questa proposta, falla anche se non c’è l’anello”». È andata meglio al suo amico Fedez con Chiara Ferragni.

«Mi è piaciuta molto la sua dichiarazi­one d’amore all’Arena di Verona. Fede, io lo chiamo così perché il suo nome è Federico come mio fratello, è stato bravo a mettere in rima quella dedica per Chiara: sono bellissimi assieme».

A Milano, invece, c’è un amore tormentato, quello tra il Milan e Donnarumma, tifoso rossonero come lei. Cosa ne pensa?

«È una vicenda che rende il calciomerc­ato frizzante. Bella da seguire... se non sei tifoso! Io spero che Gigi rimanga al Milan, è un simbolo dell’Italia e del Milan. E poi insomma, “Milàn l’è un gran milàn” spero che Gigi resti». Cosa l’ha sorpresa di più dell’Nba?

«Beh, la quantità di soldi, incredibil­e, e il numero di persone che lavorano per farti giocare al meglio i tuoi minuti. Poi il ritmo, massacrant­e, anche tre o quattro partite a settimana, e voli

L’idolo in corridoio Incontrare Michael Jordan mi ha dato i brividi, anche se è stata una stretta di mano in corridoio e io non sono riuscito a dire nulla, avevo zero salivazion­e

Una grande gioia Quando ho visto nascere mio fratello. Mio padre non voleva entrare nella sala, io avevo 9 anni e lo chiesi all’infermiera: vidi Federico appena uscito dalla pancia di mamma

in continuazi­one. Ma c’è una cosa più “intima” che mi ha sorpreso: loro non usano gli slip, usano solo i boxer e io quando ero una matricola, a New York, non lo sapevo. Ero lì, negli spogliatoi, e tutti ridevano, e io non capivo. La cosa si è ripetuta per giorni, finché un giorno vedo che indicano le mie mutande e dicono “Speedo” ridendo! Mistero risolto, sì, ma il giorno dopo c’era un pacco di mutande con il simbolo di Superman: mi hanno costretto a metterle per tutta la stagione. Che ridere».

Nell’Nba negli ultimi anni ci sono stati molti giocatori che hanno fatto “coming out” sulla loro omosessual­ità. Nel calcio italiano è ancora un tabù. Cosa ne pensa?

«Secondo me è una cosa normalissi­ma che può succedere e può esserci in qualsiasi sport. Nell’Nba sono molto bravi a rendere normali queste situazioni che per come la vedo io sono normali in sé. Mi auguro che ci sia pian piano una apertura anche in altri sport». Ricorda le sue prime parole in inglese da giocatore dell’Nba?

«Sicurament­e ho detto “thank you”, “grazie”, la notte che mi hanno scelto al draft (la cerimonia in cui le società indicano le loro scelte). Comunque ci sono arrivato preparato, a scuola mi avevano insegnato bene l’inglese. Ricordo alle medie la professore­ssa Armuzzi. Una volta, dovevamo imparare una poesia a memoria; io fui chiamato, mi alzai davanti a tutta la classe per ripeterla e la recitai con una pronuncia americana: tutti i compagni si misero a ridere perché la sentivano strana, invece la prof capì che ci avevo messo passione, mi diede un bel voto e disse “Compliment­i Danilo, puoi andare a posto”. Lo studio conta, bisogna avere dei sogni, degli obiettivi e studiare». Da piccolo guardava i VHS di Michael Jordan e poi ne emulava le mosse nei campetti.

«Idolo, leggenda. È una persona che quando l’ho incontrata mi ha dato i brividi, anche se è stata una stretta di mano in corridoio e non sono riuscito a dire nulla, avevo zero salivazion­e». Da avversario ha incontrato LeBron James.

«Giocatore incredibil­e, fisicament­e uno scherzo della natura, un campione, un hall of fame, se non è ai livelli di Jordan ci è vicino». Ha giocato anche contro Kobe Bryant.

«Una bellissima persona, oltre che un grandissim­o giocatore, e poi parla molto bene l’italiano. Nella sua lettera di addio, ha descritto benissimo quel rapporto ossessivo di amore che puoi avere per il basket. Quando finirò anche io

di giocare vorrei scrivere una cosa simile. Ma ora non riesco a immaginarl­o, ho ancora voglia di giocare, far bene in nazionale e nell’Nba». Che rapporto ha con il tempo?

«La pallacanes­tro è un gioco di attimi e di istinto legato all’attimo, non devi pensare molto, anzi: devi pensare decisament­e poco». L’attimo più bello?

«Il suono della sirena, se sei avanti. Solo quando lo senti capisci che hai davvero vinto». L’attimo più difficile?

«Quando ti rendi conto che sei davanti a milioni di persone che ti stanno seguendo e in un mezzo secondo può cambiare la tua carriera o il fatto che tu sia amato o odiato, riconosciu­to come vincente o perdente. Solo mezzo secondo». Il suo esordio nell’Nba fu felice: in campo da poco, mise a segno un tiro libero.

«Sì, ricordo che lo speaker aveva storpiato il mio nome. Sentivo gli occhi di 20 mila tifosi addosso. Ma è andata bene». Lei è uno specialist­a dei tiri da tre punti. Premianti, ma difficili, dunque rischiosi.

«Mi piace che si possa risparmiar­e qualche metro, tirare senza entrare nell’area, e fare un punto in più. Un ottimo appeal». Cosa le dà gioia oltre al basket?

«Un’immensa gioia l’ho provata quando ho visto nascere mio fratello. Ricordo che mio padre non voleva entrare nella sala per vedere la nascita di Federico, gli faceva impression­e, ma a me no; avevo 9 anni ed ero così contento che chiesi all’infermiera di entrare e vidi mio fratello appena uscito dalla pancia di mamma, con ancora il cordone, che poi hanno tagliato e mi hanno messo Federico in braccio. È stata una cosa bellissima, la desideravo da tanto, mamma mi aveva fatto pregare tutte le sere». Da credente, cosa pensa del Papa?

«Prima di ogni partita mi faccio il segno della Croce, ma penso che la religione vada vissuta individual­mente, singolarme­nte. Ma questo è un Papa speciale, seguo tutto quello che fa, mi piacerebbe un giorno incontrarl­o». Lei che ha simpatie per i democratic­i, cosa pensa di Donald Trump?

«È uno focoso, grintoso, un leader, businessma­n. Nel mio ambiente, nel basket, è molto difficile trovare qualcuno che dice di aver votato mister Trump, il presidente, è un ambiente molto democratic­o, e in fondo il voto popolare l’ha vinto Hillary. Mi auguro che Trump faccia un buon lavoro per i prossimi anni».

 ?? (Foto Ciamillo e Castoria) ?? A bordo campo Danilo Gallinari a Sassari. Da 10 anni in Nba, ma spesso lo si vede nei campetti di Milano dove è cresciuto. In città ce ne sono 129: Gallinari, con l’amico Michele Ponti e Prodea group, ha dato vita a un progetto per finanziarn­e il...
(Foto Ciamillo e Castoria) A bordo campo Danilo Gallinari a Sassari. Da 10 anni in Nba, ma spesso lo si vede nei campetti di Milano dove è cresciuto. In città ce ne sono 129: Gallinari, con l’amico Michele Ponti e Prodea group, ha dato vita a un progetto per finanziarn­e il...
 ??  ?? In azione Danilo Gallinari in uno dei campetti recuperati a Milano
In azione Danilo Gallinari in uno dei campetti recuperati a Milano

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