IL MEDICO E LA LIBERTÀ DINONCONDIVIDERE
I l giuramento che i neo medici fanno quando si iscrivono all’Ordine recita all’ultimo punto: «Giuro…. di prestare in scienza e coscienza la mia opera con diligenza perizia e prudenza e secondo equità, osservando le norme deontologiche che regolano l’esercizio della medicina e quelle giuridiche che non risultino in contrasto con gli scopi della mia professione».
La coscienza del medico è però messa a dura prova quando c’è qualcosa che non va.
E negli ospedali non sono infrequenti le cose che non vanno, segnalate più volte ma sempre senza una risposta. Organici all’osso, liste di attesa esorbitanti, apparecchiature obsolete, ambienti angusti, posti letto insufficienti, sale operatorie non attrezzate al meglio, eccessiva burocrazia, visite contingentate strozzate dai tempi, farmaci costosi e amministrazioni sempre più esigenti nel voler risparmiare. Che fare? Se si continua a lavorare nel disagio si rischia (per sé e per il malato), se si denuncia si incorre in sanzioni della amministrazione con la quale, all’assunzione, è stato sottoscritto un atto di fedeltà secondo un codice di comportamento aziendale. Non è facile la risposta: ma qui c’è in gioco la libertà del medico, la sua responsabilità, l’eticità della sua professione, la salvaguardia del malato nel rispetto di un giuramento.
Si dice: bisogna spiegare, bisogna raggiungere un rapporto empatico col paziente, bisogna ascoltare, bisogna accompagnare, bisogna porre attenzione anche ai problemi della famiglia .Tutte cose sacrosante e giuste, rivendicate ma il più delle volte inascoltate dal “sistema”. Di fronte a situazioni “pesanti” il medico ha difficoltà a tacere e sente il dovere/diritto di esprime il proprio dissenso rivendicando le ragioni profonde che l’hanno portato a sceglier questo lavoro e i “fondamentali” che non sono legati alle categorie dell’economia, dalla bieca organizzazione, del quieto vivere! Ma come dirlo? Nelle assemblee? Attraverso gli ordini professionali? Attraverso i sindacati? Puntando i piedi con i direttori generali? Sui giornali? Giocandosi in prima persona e assumendosene le responsabilità? Tutte strade possibili, senza però mai offendere, mai denigrare la struttura in cui si opera (che spesso gli affida, sulla fiducia, compiti dirigenziali), ma ribadendo ciò per cui si è studiato. Denunciando le cose che impediscono di offrire un’assistenza congrua, difendendo il diritto del malato ad essere assistito al meglio e a essere realmente preso in cura .