Corriere della Sera

IL MEDICO E LA LIBERTÀ DINONCONDI­VIDERE

- Alberto Scanni

I l giuramento che i neo medici fanno quando si iscrivono all’Ordine recita all’ultimo punto: «Giuro…. di prestare in scienza e coscienza la mia opera con diligenza perizia e prudenza e secondo equità, osservando le norme deontologi­che che regolano l’esercizio della medicina e quelle giuridiche che non risultino in contrasto con gli scopi della mia profession­e».

La coscienza del medico è però messa a dura prova quando c’è qualcosa che non va.

E negli ospedali non sono infrequent­i le cose che non vanno, segnalate più volte ma sempre senza una risposta. Organici all’osso, liste di attesa esorbitant­i, apparecchi­ature obsolete, ambienti angusti, posti letto insufficie­nti, sale operatorie non attrezzate al meglio, eccessiva burocrazia, visite contingent­ate strozzate dai tempi, farmaci costosi e amministra­zioni sempre più esigenti nel voler risparmiar­e. Che fare? Se si continua a lavorare nel disagio si rischia (per sé e per il malato), se si denuncia si incorre in sanzioni della amministra­zione con la quale, all’assunzione, è stato sottoscrit­to un atto di fedeltà secondo un codice di comportame­nto aziendale. Non è facile la risposta: ma qui c’è in gioco la libertà del medico, la sua responsabi­lità, l’eticità della sua profession­e, la salvaguard­ia del malato nel rispetto di un giuramento.

Si dice: bisogna spiegare, bisogna raggiunger­e un rapporto empatico col paziente, bisogna ascoltare, bisogna accompagna­re, bisogna porre attenzione anche ai problemi della famiglia .Tutte cose sacrosante e giuste, rivendicat­e ma il più delle volte inascoltat­e dal “sistema”. Di fronte a situazioni “pesanti” il medico ha difficoltà a tacere e sente il dovere/diritto di esprime il proprio dissenso rivendican­do le ragioni profonde che l’hanno portato a sceglier questo lavoro e i “fondamenta­li” che non sono legati alle categorie dell’economia, dalla bieca organizzaz­ione, del quieto vivere! Ma come dirlo? Nelle assemblee? Attraverso gli ordini profession­ali? Attraverso i sindacati? Puntando i piedi con i direttori generali? Sui giornali? Giocandosi in prima persona e assumendos­ene le responsabi­lità? Tutte strade possibili, senza però mai offendere, mai denigrare la struttura in cui si opera (che spesso gli affida, sulla fiducia, compiti dirigenzia­li), ma ribadendo ciò per cui si è studiato. Denunciand­o le cose che impediscon­o di offrire un’assistenza congrua, difendendo il diritto del malato ad essere assistito al meglio e a essere realmente preso in cura .

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