Corriere della Sera

Il difficile governo di papa Francesco

Dietro dimissioni e nuove nomine si intravede l’affanno delle riforme di Bergoglio

- Di Massimo Franco

Il rosario delle teste cadute nelle ultime settimane racconta un Vaticano non ancora stabilizza­to, a oltre quattro anni dall’inizio del pontificat­o di Jorge Mario Bergoglio.

Etrasmette l’immagine di un Papa formidabil­e sul piano della popolarità e dell’influenza sulla geopolitic­a mondiale; e tuttavia in affanno quando deve compiere scelte di governo nella «sua» Roma e in Italia: si tratti di finanze vaticane, di collaborat­ori o di «ministeri» della Santa Sede. Limitarsi a dire che l’una o l’altra promozione sono state azzardate o sbagliate forse non basta più. A emergere è un metodo che mostra limiti evidenti; e che trasforma le migliori intenzioni di riforma in potenziali boomerang. E tutto avviene in un alone di mistero, a volte perfino di opacità, che solo il grande carisma di Francesco permette di registrare con indulgenza.

Il «revisore generale» dei conti, Libero Milone, liquidato tre anni prima della scadenza del mandato. Il suo mentore, cardinale George Pell, costretto a lasciare il «ministero dell’Economia» vaticano per andare in Australia a difendersi in un processo per abusi sessuali di quarant’anni fa. E il custode dell’ortodossia Gerhard Ludwig Müller non rinnovato nell’incarico dopo cinque anni: tutti usciti di scena nello spazio di due settimane.

La cosa singolare è che Francesco ha nominato come successore di Müller il gesuita spagnolo Luis Francisco Ladaria Ferrer: un fedelissim­o. E ci si è accorti che l’uomo chiamato a guidare la Congregazi­one per la Dottrina della Fede, l’ex Sant’Uffizio, è sfiorato dall’ombra di non avere denunciato in passato un sacerdote pedofilo. Notizia che tra l’altro era spuntata di recente; ma che evidenteme­nte o non è stata ricordata, o è stata considerat­a di importanza secondaria al momento di decidere il successore del conservato­re Müller, critico tenace di Bergoglio sul piano teologico. Il prelato tedesco ha negato dissensi con Francesco, rifiutato cariche alternativ­e, e annunciato che rimarrà a Roma. «Ma ora Müller può diventare la bandiera degli oppositori al Papa», spiega un cardinale. «È già il punto di riferiment­o degli episcopati dell’Europa dell’Est, dell’Africa e di parte del Nord America, in prevalenza conservato­ri». Sono istantanee di un papato immerso in una fase convulsa, nella quale anche cambiare un capo di dicastero dopo cinque anni appare non fisiologic­o, ma traumatico.

I nemici di Francesco, che continuano a essere molti, ritengono di vedere in realtà una sorta di «coerenza progressis­ta». Di fatto, lo accusano di perseguire un’agenda sbilanciat­a sul piano sociale a favore dei poveri, del dialogo con la modernità e degli immigrati. Suonerebbe come un titolo di merito, se non fosse accompagna­to dalla critica di nominare di preferenza chi esprime una cultura «non antagonist­a», soprattutt­o nei suoi confronti; e di avere una cerchia di collaborat­ori non sempre capaci di consigliar­lo in modo esauriente.

Tra l’altro, si insinua da mesi l’esistenza di dossier anonimi su persone a lui vicine. E su alcuni siti conservato­ri si leggono storie romanzate di personaggi legati al mondo degli aiuti della Cei nel Terzo Mondo,

Il malcontent­o Aumentano le critiche della Curia per un metodo e un’agenda ritenuti sbilanciat­i Il gesto E nel ristorante di Santa Marta ora il Pontefice ha scelto un tavolo appartato

entrati in contatto con Bergoglio quando era vescovo in Argentina: veleni che fotografan­o bene una situazione di tensione costante; e di lotta interna che rischia di somigliare un po’ troppo a quella degli anni e dei pontificat­i del recente passato.

È un tamtam sordo, che riflette un malcontent­o represso ma diffuso; e la frustrazio­ne di chi sa di non potere attaccare direttamen­te un Papa popolariss­imo e rispettato a livello internazio­nale. Eppure, è una vulgata comune che le riforme economiche messe in cantiere all’inizio hanno prodotto risultati a dir poco controvers­i.

Il «congedo» di Pell, e prima le dimissioni di Milone, non possono essere liquidati soltanto come frutto di uno scontro con la Curia. «Su Milone chiedete alla Gendarmeri­a», si replica in modo sibillino riferendos­i alla polizia vaticana. L’idea che se ne sia an- dato solo perché gli avevano chiesto di ridursi lo stipendio, non convince fino in fondo. In realtà, sono entrati in crisi un modello di governo e una spinta riformista che il Papa aveva fortemente voluto. E si indovina una rivincita di fatto della «vecchia guardia» della Curia. E non perché abbia una propria forza autonoma: negli anni di Bergoglio questa filiera è stata spinta ai margini o messa sulla difensiva. Alcune leve, però, rimangono saldamente nelle mani di personaggi che non sono stati minimament­e scalfiti dal nuovo corso. E ora, quasi per inerzia, riemergono con l’uscita di scena dei «nuovi».

D’altronde, è stato Francesco ad ammettere in un’intervista al Corriere nel febbraio scorso che la situazione, rispetto al Conclave del 2013, è cambiata. «Nelle Congregazi­oni Generali», raccontò allora al direttore di Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, «si parlava dei problemi del Vaticano, si parlava di riforme. Tutti le volevano. C’è corruzione in Vaticano. Ma io sono in pace. Se c’è un problema, io scrivo un biglietto a san Giuseppe e lo metto sotto una statuetta che ho in camera mia. È la statua di san Giuseppe che dorme. E ormai lui dorme sotto un materasso di biglietti!».

Ecco, quel «materasso» simbolico nelle ultime settimane si deve essere ulteriorme­nte inspessito. E nel ristorante a Casa Santa Marta, residenza papale dentro le mura vaticane, da qualche mese è stata notata una piccola, significat­iva novità. Il tavolo di Francesco non è più come prima al centro del locale. Ora si trova in un angolo, e Bergoglio mangia con pochi, selezionat­i commensali, dando le spalle al resto della sala.

Se c’è un problema, io scrivo un biglietto a san Giuseppe e lo metto sotto una statuetta che ho in camera mia. È la statua di san Giuseppe che dorme. E ormai lui dorme sotto un materasso di biglietti! Il Papa al Corriere

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