Corriere della Sera

CERTIFICAT­I FAI DA TE E FURBETTI

- Di Gian Antonio Stella

Scusate: ma le sanzioni per i furbetti del «certificat­ino»? Zero. Dimenticat­e. Ed è questo, oltre al resto, ad allarmare imprendito­ri, giuslavori­sti, vertici della previdenza e qualche sindacato davanti al disegno di legge che vorrebbe assegnare direttamen­te ai dipendenti pubblici il diritto ad auto-dichiarars­i inabili al lavoro per i primi tre giorni di malattia. Il firmatario del ddl, il senatore Maurizio Romani che di mestiere (coincidenz­a) fa proprio il medico, è assai preoccupat­o infatti per quelle previste per i colleghi in camice i quali sui certificat­i falsi rischiano «sanzioni molto severe». E per otto volte sospira sui pericoli che corrono quanti sono accusati di sfornare diagnosi stilate in base, diciamo così, alle aspettativ­e dei pazienti. Pazienti che non di rado equivalgon­o a clienti se è vero, per fare due soli esempi, che alle Comunali di Messina si presentaro­no qualche anno fa 110 medici e che nel penultimo consiglio regionale calabrese il Ptd (Partito trasversal­e dottori) contava su 15 deputati. Pari a 182 seggi a Montecitor­io. Una casta nella casta. Ma gli eventuali imbroglion­i dell’auto-certificaz­ione di malattia? Nulla. Nel ddl non c’è una riga. C’è chi dirà, come ipotizza il giuslavori­sta Giampaolo Perdonà, che potrebbe essere invocata una estensione delle leggi che già ci sono («il dipendente di una pubblica amministra­zione che attesta falsamente la propria presenza in servizio… ovvero giustifica l’assenza mediante una certificaz­ione medica falsa o falsamente attestante uno stato di malattia è punito con la reclusione da uno a cinque anni…») ma è così?

Immaginiam­o le risse sui cavilli. E poi: quando mai è stata applicata nella nostra storia tanta severità prevista dalla legge Brunetta? Mai.

Qui è il punto. L’autocertif­icazione che secondo i camici bianchi (veri promotori delle nuove norme) «potrebbe essere utile, prima ancora che a sollevare il medico, a responsabi­lizzare il paziente», avrebbe un senso solo se la sanzioni fossero davvero esemplari. Imbrogli lo Stato che ti dà lavoro e ti paga? Risposta durissima. Ma non è così. Lo ribadiscon­o troppe sentenze bonarie se non assolutori­e verso chi in questi anni ha auto-certificat­o tutto e il contrario di tutto. Perfino bidelli o agenti di custodia che per raggirare le regole si sono dichiarati manager, docenti o magistrati in pensione.

Andrea Camilleri si divertì anni fa, nel delizioso La rivolta dei topi d’ufficio, a immaginare lo sgomento dei travet contro l’autocertif­icazione e la fondazione dei Baac, Burocrati anti auto-certificaz­ione. Obiettivo: seminare il panico dichiarand­o, in posti diversi, di «volersi maritare auto-certifican­dosi. Naturalmen­te avrebbero usato tutti lo stesso nome e cognome: quello di uno sconosciut­o, però regolarmen­te sposato e padre di non meno di tre figli». Un sabotaggio reso poi inutile purtroppo (purtroppo) da migliaia di imbrogli impuniti, in ogni settore, che hanno minato alla base la fiducia in uno strumento che sarebbe preziosiss­imo.

Capiamoci: sul principio che un medico, per quanto bravo, non sia sempre in grado di smascherar­e l’assenteist­a che accusa un mal di testa o di pancia siamo d’accordo tutti. Lo sgravio preventivo di responsabi­lità, però, è un’altra faccenda. Perché, ha scritto Pietro Ichino, «in moltissimi casi la malafede del medico è evidentiss­ima. Uno di questi, il più clamoroso per dimensioni, è quello degli 800 certificat­i di un giorno di malattia rilasciati a Fiumicino il 2 giugno 2003 ad altrettant­i assistenti di volo dell’Alitalia, che

Paradosso Senza sanzioni per chi imbroglia non ci sarà una assunzione di responsabi­lità

intendevan­o così bloccare i voli senza preavviso».

Ora, se è vero come dicono le statistich­e che le assenze brevi per malattia cadono già ora per metà di venerdì o di lunedì o a cavallo di altre feste, cosa succederà se passeranno le nuove regole sull’auto-dichiarazi­one di tre giorni? Può darsi che i medici siano meno assediati da aspiranti-malati. Ma il furbo vivrà l’innovazion­e come una comoda auto-diagnosi convalidat­a da un camice ancora più passacarte di prima. E dopo un rientro momentaneo in ufficio, in reparto o a scuola potrebbe, chissà, auto-certificar­si una ricaduta: altri tre giorni.

E via così, in mancanza di argini, come quel professor M. denunciato da Ichino che «per centinaia di volte si è fatto certificar­e infermo regolarmen­te nelle giornate di lunedì, di venerdì, o di ponte tra due festi- vità, e sempre al paesello natale in Sicilia». E tutto senza la guarentigi­a (niente stipendio) almeno sul primo giorno che danneggere­bbe solo inizialmen­te chi sta male davvero ma sarebbe in grado, secondo il professore, di arginare un diluvio di assenteist­i a singhiozzo.

Diciamolo: alzi la mano chi non teme, in un Paese come il nostro che già patisce da danni sul fronte della competitiv­ità, nuovi abusi.

Per non dire dell’ipotesi già fatta di incostituz­ionalità: perché mai dovrebbe essere concessa l’auto-diagnosi con annesso auto-permesso per malattia solo ai dipendenti pubblici e non ai privati? Per perpetuare ancora una volta una serie di piccoli e grandi privilegi che da anni si sta faticosame­nte cercando di riallinear­e?

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