Corriere della Sera

Gli incarichi, i figli e i veti che frenano la procura di Napoli

Csm diviso sul capo: Melillo o Cafiero de Raho

- di Giovanni Bianconi

Ancora un rinvio. Ancora una settimana di tempo per cercare la soluzione unitaria (o quasi) che non divida a metà (o quasi) il Consiglio superiore della magistratu­ra su una delle nomine più importanti e delicate. La Procura della Repubblica di Napoli è senza capo da oltre quattro mesi, e i recenti episodi consiglian­o una decisione rapida e il più possibile condivisa. Da ultimo, la perquisizi­one nei confronti del giornalist­a Marco Lillo, per violazione di segreto nel caso Consip, dopo che la Procura di Roma ha indagato il pm napoletano Henry John Woodcock, per lo stesso reato e a vantaggio dello stesso giornalist­a, sulla stessa vicenda, fa capire quanto la situazione sia confusa e tesa, dentro e fuori il palazzo di giustizia all’ombra del Vesuvio. Bisognoso di un procurator­e che si insedi al più presto, con il più ampio consenso. Ma i continui rinvii dimostrano che l’auspicata condivisio­ne non c’è.

In lizza restano due candidati, entrambi stimati e titolati, entrambi con un passato da procurator­e aggiunto a Napoli, sui quali il Csm — al momento — resta spaccato. Uno è Giovanni Melillo, ora alla Procura generale di Roma dopo due anni e mezzo trascorsi al ministero della Giustizia come capo di gabinetto del Guardasigi­lli Andrea Orlando, fama di grande organizzat­ore, carattere volitivo ma spigoloso. L’altro è Federico Cafiero de Raho, procurator­e di Reggio Calabria, inquirente antimafia di lungo corso, considerat­o più conciliant­e. Due nomi sui quali la commission­e incarichi direttivi si ostina a non votare perché non è ancora tramontato il tentativo di mandarne al plenum uno solo, evitando un’elezione all’insegna del muro contro muro.

Con Melillo sarebbe schierata la maggioranz­a della corrente di sinistra di Area (la sua, 4 o 5 consiglier­i su 7), la maggior parte dei «laici» di provenienz­a parlamenta­re (potrebbero arrivare a 6 su 8), il presidente e il procurator­e generale della Cassazione. Per Cafiero, invece, voterebber­o i cinque della corrente centrista a cui appartiene (Unità per la costituzio­ne), i 3 di Magistratu­ra indipenden­te (la destra giudiziari­a), uno di Area e un «laico». Restano pochi indecisi che possono fare la differenza, ma se si andasse alla conta in queste condizioni il vincitore avrebbe comunque una maggioranz­a strettissi­ma. Condizione non ottimale per il prescelto, e che rischia di pregiudica­re il perdente nella corsa per l’altro importante incarico da assegnare dopo l’estate, quello di procurator­e nazionale antimafia.

Su Melillo, i contrari fanno ancora pesare il periodo trascorso al ministero della Giustizia, incarico tecnico ma con inevitabil­i coinvolgim­enti nelle scelte politiche, che l’ha già ostacolato un anno fa, quando c’era da scegliere il procurator­e di Milano e venne scartato anche per questo motivo. Per Cafiero de Raho, invece, la controindi­cazione di cui s’è discusso anche ieri in commission­e è un figlio adottivo che pratica a Napoli la profession­e di avvocato penalista, con il quale il magistrato non ha contatti da circa vent’anni, ma che i suoi detrattori consideran­o un impediment­o.

È una questione di immagine, sia per Melillo che per Cafiero, giacché tutti sono convinti che nessuno dei due si farebbe condiziona­re dal lavoro svolto in passato o dalle questioni familiari. Tuttavia, dietro la forma che in queste scelte diventa sostanza, ci sono pure i retropensi­eri su come ciascuno potrebbe guidare l’ufficio inquirente più grande d’Italia (97 pm in organico), dove a parte le inchieste sulla camorra non mancano i procedimen­ti che coinvolgon­o i politici e la pubblica amministra­zione (vedi la tormentata vicenda Consip). Per questo ogni schieramen­to continua a sperare nel passo indietro del candidato avverso, che automatica­mente si piazzerebb­e in pole position per la Superprocu­ra. Agli automatism­i però non crede nessuno, dunque nessuno sembra disposto a cedere il passo. Tra una settimana la commission­e dovrebbe votare anche senza accordi, poi toccherà al plenum. Prima delle ferie, si dice. Ma chissà.

Il rischio Mediazione difficile ma il Consiglio vuole evitare una conta sui due magistrati

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