Corriere della Sera

Schieramen­to trasversal­e

- Marco Cremonesi Leonard Berberi

Un cartellone della Regione Lombardia per il referendum a Milano (Photoviews) Proposti dai governator­i leghisti, che ne hanno fatto un cavallo di battaglia supportati dal centrodest­ra, i quesiti sono sostenuti anche dai 5 Stelle. In Lombardia sono nati anche comitati del Pd: a favore i sindaci dei capoluoghi governati dai dem una maggioranz­a qualificat­a? «Bobo» l’ha trovata con il sostegno, per nulla scontato, dei 5 Stelle. Quindi, seconda sorpresa: i sindaci lombardi, fino alle ultime amministra­tive tutti del Pd, hanno dato la loro adesione al referendum. Incluso Giorgio Gori da Bergamo, il più probabile avversario di Maroni alle prossime regionali.

Per questo il governator­e ascolta distrattam­ente le critiche di coloro che gli fanno notare quello che lui ha già sentito. E cioé, che il referendum è soltanto consultivo. Che la Costituzio­ne già consente la trattativa con lo Stato per ottenere «l’attribuzio­ne di ulteriori forme e condizioni particolar­i di autonomia, con le relative risorse». E infine che l’eventuale accordo dovrà essere approvato dal Parlamento a maggioranz­a assoluta. «Quello che non capisco io — osserva il governator­e — è come si possa non vedere l’incredibil­e novità di una trattativa del genere. Io non mi presenterò da solo. La delegazion­e a Roma sarà formata da tutti, maggioranz­a e opposizion­e. Un fatto politico di una forza invincibil­e. Capace di restituire senso alla partecipaz­ione dei cittadini alla politica».

Per il presidente lombardo c’è un evidente dividendo politico. Il suo confermars­i al centro della scena nazionale pur restando in Lombardia. Dare ai leghisti quel referendum che avevano inutilment­e chiesto per molto tempo. Maroni offre la «terza fase della Lega. Dopo quella rivoluzion­aria e indipenden­tista, dopo quella delle riforme partendo da un ruolo di governo, arriva quella delle riforme che partono dai territori». Senza dimenticar­e che così si confermerà interlocut­ore prediletto dai possibili alleati per il suo proverbial­e non essere «divisivo come Salvini». Lui, quanto meno, ogni tanto con Berlusconi ci parla: «Ma non c’è mai una volta che mi abbia dato retta…». La scommessa però è chiara: quella dei territori che si esprimono con una voce sola. Che è, guarda il caso, quella di Maroni.

Noi non chiediamo qualche marginale competenza ma che la metà del residuo fiscale resti qui

«La questione è semplice: la cittadinan­za te la devi guadagnare, non averla perché nasci qui». Mike Gjeli è il nuovo responsabi­le immigrazio­ne della sezione di Novi Ligure della Lega Nord. Ad agosto compie 24 anni. È nato a Lecce da genitori di Durazzo (Albania) sbarcati a Brindisi nel 1991. Studi in Scienze politiche, lavora come autista di una navetta per un parco acquatico. Simpatizza­nte del Carroccio dal 2012, tesserato da novembre 2016, ha ricevuto gli apprezzame­nti (social) di Matteo Salvini. «Questa è l’immigrazio­ne che arricchisc­e!», ha scritto.

«Sono entrato in sezione grazie a un compagno di classe», racconta Gjeli al telefono. «All’inizio non si erano accorti delle mie origini». Quando gli hanno proposto l’incarico ha detto sì. Ma che ci fa uno come lui nella Lega? «È un partito che chiede il rispetto delle regole ed è quello che mi hanno insegnato in

Questa è la terza fase della Lega: dopo l’indipenden­tismo e il governo, ora le riforme dal territorio

Nella Lega Mike Gjeli, 24 anni

famiglia». I genitori, dice, «sono soddisfatt­i». I connaziona­li pure. Niente imbarazzo per quel Carroccio che per anni si è scagliato contro gli stranieri? «Niente affatto: la Lega è contro l’illegalità. E lo sono anche gli albanesi: i clandestin­i creano problemi».

Gjeli boccia la legge sullo ius soli. «È una cavolata. Perché dare la cittadinan­za così facilmente? Forse per calcolo politico, così alle elezioni i nuovi italiani si ricordano del regalino». Regalino? «Lo ius soli sarebbe voto di scambio a vantaggio del Pd. Eppoi chissà quanta gente finirebbe per vivere di assistenzi­alismo, mica ce lo possiamo permettere». Per questo «la legge attuale va benissimo: la nazionalit­à bisogna guadagnars­ela, come ho fatto io che ho dovuto aspettare il 18° anno d’età». A casa, continua, «si parla in italiano, tranne con la mamma». In Albania ci va «almeno una volta l’anno». La politica gli piace. Secondo lui i migranti che sbarcano in questi mesi si possono fermare «chiudendo i porti del Paese». Se fosse ministro dell’Interno farebbe subito una cosa. «Invierei una circolare a tutti i sindaci: niente assembrame­nti tra persone della stessa nazionalit­à. Soprattutt­o: si parla solo in italiano». Addirittur­a? «Certo, sei in Italia? Ti devi comportare come quelli che vivono qui. Altrimenti quella è la frontiera».

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