Omicidio stradale, trenta arresti Ma le vittime continuano a crescere
L’ultima vittima della strada ha sei anni. Un bambino rom travolto ieri pomeriggio da un’auto a Centocelle davanti ai suoi parenti. A investirlo un trentenne romeno, aggredito dai familiari del piccolo e costretto a trasportare il bambino al pronto soccorso più vicino. Tutto inutile, purtroppo. L’automobilista rischia ora l’accusa di omicidio stradale. Dall’entrata in vigore della legge che ha introdotto questo reato, la numero 41 del 23 marzo 2016, sono passati poco più di 15 mesi. Fino a oggi, solo la polizia stradale ha proceduto per questa fattispecie nelle indagini su 456 incidenti e in 388 casi (l’85%) sono stati individuati altrettanti conducenti punibili da 2 a 7 anni.
È il dato choc che emerge da uno studio della specialità di polizia che festeggia il 70° anniversario dalla fondazione e che si è riunita ieri a Roma proprio per un convegno sull’omicidio stradale al quale, oltre al capo della polizia Franco Gabrielli, hanno partecipato magistrati, avvocati e rappresentanti di tutte le forze dell’ordine. Preoccupa l’aumento di morti sulle strade da gennaio a giugno: +4,6% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso (da 695 a 727 decessi), sebbene — ed è un dato comunque da non sottovalutare — gli incidenti siano calati del 3,2% (35.444 contro 36.615). Sul fronte degli omicidi e delle lesioni stradali, invece, la polizia ha arrestato 33 persone (solo 3 per la seconda fattispecie), denunciandone 1.176, mentre in 215 incidenti più persone sono morte o sono rimaste ferite. Tuttavia, spiega il prefetto Gabrielli, «la forza di questa legge non è nei numeri ma nella valenza culturale. Il bene della vita deve essere al di sopra di ogni giudizio. Non è con la bulimia normativa che si risolvono i problemi — aggiunge il capo della polizia —: chi si aspettava miracoli rimarrà deluso».
Anche perché il nuovo aumento di morti sulle strade è causato soprattutto dalla distrazione alla guida. «Un’incidenza non più tollerabile», secondo Gabrielli, legata anche alla «iattura degli smartphone: strumenti eccezionali che ci hanno cambiato la vita, ma modificano i nostri livelli di attenzione. È importante essere connessi con il mondo, ma anche esserlo con il veicolo che guidiamo». Per il vice ministro delle Infrastrutture Riccardo Il film Domenico Diele in occasione della presentazione del film ACAB Nencini è importante che «siano diminuiti gli incidenti al sabato sera», forse anche per la legge sull’omicidio stradale che cerca di stroncare il fenomeno della guida sotto effetto di droghe e alcol. Proprio sul fronte della prevenzione e della repressione nei controlli svolti dalla Stradale in ottanta province sono stati sottoposti ad alcoltest 38.936 conducenti (di auto, moto, furgoni e camion), 2.088 dei quali sono risultati positivi, mentre sono stati 675 (su 2.753) quelli «incastrati» dal test sulla saliva per il consumo di sostanze stupefacenti. Uno screening importante, anche perché le pene più alte previste dal codice penale e dal reato di omicidio stradale si applicano proprio nei casi di persone al volante sotto effetto di alcolici e sostanze stupefacenti: nel primo caso, con un tasso alcolemico fra 0,8 e 1,5, si rischiano da cinque a dieci anni di reclusione, ma oltre 1,5 o drogati si sale da otto a dodici anni, mentre per le lesioni gravissime le pene sono comprese fra quattro e sette anni. Il difensore Aiello contesta gli orari degli sms: il nodo della competenza territoriale
invita il tribunale a ripensarci alla luce delle «diversità» che addita negli orari degli sms quali risultano «dai brogliacci, da due informative dei carabinieri del Noe, e dalla trascrizione del perito» (che a suo avviso non farebbe testo sugli orari perché li avrebbe solo recepiti dai rapporti). Due delle tre versioni recano per Aiello difformità di minuti, mentre la terza, una informativa del Noe che Aiello mostra firmata dal capitano Scafarto (indagato a Roma per i falsi nell’indagine Consip), differisce invece di un’ora. In realtà la suggestione-Scafarto si ridimensiona subito per chi (negli atti e nei ricordi) verifica che l’ufficiale non lavorò mai all’indagine su Maroni: un conto è infatti il timbro del blocco-firma in calce ai rapporti di reparto (col nome Scafarto), altro conto è la reale firma dei sottoposti che sotto quello stampone siglavano i rapporti in quanto erano coloro che davvero lavoravano all’indagine (in questo caso un maresciallo passato ora ai servizi). Resta la difformità oraria, in altre vicende talvolta conseguente all’impostazione delle macchine delle società private di intercettazioni, taratura che può essere riverificata. Legittimo quindi che l’avvocato ponga il tema al tribunale (udienza il 19 settembre), forse prematuro invece che parli di «tribunale truffato» da «atti falsificati».