«È essenziale che lavorino»
Tanti italiani si domandano: questi migranti sono una risorsa o una sciagura? Secondo me, né l’una, né l’altra. Infatti sono in molti quelli che hanno usufruito del loro apporto per risolvere problemi di lavoro, ma è anche vero che i loro guadagni sono spesso ritornati nei Paesi di origine. Papa Francesco dice pertanto il giusto quando consiglia di non togliere loro ogni speranza; ma vigiliamo affinché l’attività di queste persone non sfugga a controlli e regole che devono essere le stesse per tutti i Paesi dell’Ue.
Francesco Italo Russo
In un Paese rigidamente e improvvidamente regolato da norme sindacali più o meno invalicabili, dare lavoro ai migranti appare molto difficile, tranne l’ipotesi, purtroppo ampiamente sfruttata, di ricorrere al nero. L’integrazione comporta il lavoro: altrimenti occorre ricorrere al respingimento. Non si scappa. Carlo Marsili
Premesso che gli immigrati arrivati e in arrivo sono tanti, troppi per essere assorbiti dal nostro asfittico mondo del lavoro, che cosa far loro fare perché guadagnino il pane e il diritto di vivere fra noi? Se vogliono la cittadinanza devono apprendere la disciplina, la nostra lingua e un lavoro ma, in attesa, facciamo loro pulire canali e boschi. Non dico di costringere gli immigrati a una vita da galera, ma questa ipotesi non mi sembra tanto male!
Nerio Fornasier
Visto che vengono mantenuti, sarebbe una cosa giusta far lavorare i migranti.
Cristina Magliocchetti
Trovo assurdo il fatto che non li si faccia già lavorare.
Giada Olivieri
Preferisco veder lavorare i giovani italiani.
Sergio D’Aprile
Ma idee per dare lavoro agli italiani niente?
Antonio Cracco
I migranti potrebbero fare lavori socialmente utili e anche altro. Come noi, come vorremmo fare noi... (vivo a Cassano delle Murge).
Maria P. Le lettere firmate con nome, cognome e città e le foto vanno inviate a «Lo dico al Corriere» Corriere della Sera via Solferino, 28 20121 Milano Fax: 02-62827579
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Aldo Cazzullo - «Lo dico al Corriere» «Lo dico al Corriere» @corriere
Caro Aldo,
com’è triste Napoli! Squallida e mal gestita la vicenda Maradona: la cittadinanza onoraria conferita da un sindaco ex magistrato, rivoluzionario a parole, che trastulla i concittadini con i trionfi, pallonari, di tanto tempo fa. Ma l’argentino, oltre a «sputare in faccia» a chi ha insinuato che avrebbe preso soldi per la comparsata, è proprio soddisfatto di questa mini-festa blindata? O non dispiace anche a lui ritrovare la «sua» Napoli ribelle, ma solo nei proclami del sindaco? A me, e a molti concittadini che non sono andati a piazza del Plebiscito, mancano i gol, non gli eccessi e le brutte compagnie di Diego, dopo le partite. Mi mancano l’ironia di Pino Daniele, la saggezza di Eduardo, le inchieste e i libri di Totò Ghirelli e di Ermanno Rea, il grande cinema di Franco Rosi. Napoli
Caro Gennaro,
Mi pare che lei ce l’abbia più con De Magistris che con Maradona. Ma è di lui che si dibatte. E temo che i parametri per dare un giudizio su un mito non siano quelli che valgono per noi mortali. Personalmente ho detestato Maradona quando invitò a tifare contro l’Italia nella semifinale dei Mondiali 1990 (ascoltato da parte del San Paolo, certo dalla curva B). Quando si faceva fotografare nella vasca da bagno dei boss. Quando rifiutava di riconoscere il figlio. Quando si drogava. Quando alla tv pubblica italiana fece il gesto dell’ombrello al Fisco italiano. Ma ho ammirato Maradona ogni volta che toccava il pallone, e non mi sento di criticare l’amore immenso che i napoletani gli portano.
L’ho conosciuto ai Mondiali del 2010 in Sudafrica. Anche da allenatore era un mito: negativo però. Esordì con un discorso sobrio: «Avete di fronte uno che è tornato dall’inferno». Nelle qualificazioni portò l’Argentina a giocare ai 3 mila metri di La Paz direttamente dal livello del mare: 6-1 per la Bolivia. Per un’amichevole con la Giamaica arrivò a convocare cinque infortunati. In due anni chiamò un centinaio di calciatori. Allenamenti sempre il pomeriggio e la sera: la mattina dormiva. In conferenza stampa invitò i giornalisti a praticargli un rapporto orale: «Que la chupen!». Mise sotto un cameraman con la macchina. Il padre di Messi, Jorge, lo criticò: «Mio figlio è a disagio. Nel Barcellona Guardiola gli spiega la partita mossa per mossa. Diego gli dice soltanto: gioca bene e fai gol». Diego però sovrastava Messi per personalità. La stella dell’Argentina in quel Mondiale era lui; anche se sbagliò clamorosamente la formazione con la Germania, che segnò quattro comodi gol in contropiede. Messi, schiacciato, non ne fece neppure uno in tutto il torneo.