Rileggiamo tutti mister Terrington, l’inglese che nell’800 studiava i vini italiani
«Sebbene i vini italiani qui non siano molto conosciuti, non si deve supporre che gli italiani non sappiano produrre buon vino, anche se ne esportano molto poco». È un “visti da fuori” del 1869, frutto del vasto sapere di William Terrington. Che non è celebre come «il Professore» Jerry Thomas, il barista americano autore del primo ricettario della storia dei cocktail, nel 1862, ma è il primo inglese a scrivere di miscelazione. Inoltre, il suo «Cooling cups and dainty drinks» è piacevolissimo, ricco di note su caffè, bitters, birra, sidro e «acque areate». Che sono le bibite gasate.
Ma il cuore di Mr. Terrington batte forte per il vino. Il primo italiano di cui parla è il Marsala: «Ricorda il Madeira nel colore e anche nel sapore». Quando è «bene invecchiato, è un vino davvero salutare che merita di essere meglio conosciuto, essendo assai superiore a molto di ciò che passa sotto il nome di sherry».
Gli altri vini sono «molto numerosi e fatti principalmente per il consumo casalingo». I vini frizzanti sono diversi da quelli di altri Paesi in quanto «meno effervescenti»: «primi in classifica» sono «l’Asti (bianco e rosso), il Nebiola, il Passeretta». Anche «i vini di Bologna sono in genere frizzanti, e conosciuti come Vino crudo».
I migliori rossi sono «Lambrusco, Barbera, Aleatico». I bianchi, «Malvasia (vinto Santo) e il delizioso Lachrymae Christi». Di tipo «moscatello, con gradevole bouquet e un sapore dolce e piccante». E soprattutto c’è la Toscana, «ritenuta miglior zona di vino che qualunque altra d’Italia». Infine, il vermouth, «un vino bianco, reso aromatico dall’assenzio. Il migliore, che viene da Torino, è costoso».