Lavoro, per gli assunti «under 35» il governo studia altri sgravi fiscali
Due ipotesi: taglio di metà contributi Inps per 3 anni o del 3-4% per sempre
Nuova decontribuzione per favorire le assunzioni a tempo indeterminato; strumenti aggiuntivi per consentire il pensionamento anticipato; potenziamento delle politiche di reinserimento al lavoro. Sono tre fronti sui quali sta lavorando il governo in vista della prossima legge di Bilancio e dei quali ha parlato ieri il consigliere economico di Palazzo Chigi, Marco Leonardi, intervenendo all’assemblea generale della Cida, sindacato dei dirigenti d’azienda.
Le ipotesi allo studio per dare un seguito agli incentivi alle assunzioni stabili sono due. La prima prevede un taglio della metà dei contributi previdenziali per tre anni per tutte le assunzioni a tempo indeterminato di lavoratori under 35. Una misura portabile, nel senso che lo sgravio seguirebbe il lavoratore anche nel caso in cui questi cambiasse azienda. A regime questa misura costerebbe circa due miliardi l’anno. Rispetto alla precedente decontribuzione avrebbe il vantaggio di concentrarsi sulla fascia giovanile, la più bisognosa di incrementare il tasso di occupazione e di essere permanente.
La seconda ipotesi prevede invece di aggiungere alla iniziale decontribuzione triennale una riduzione strutturale di 3 o 4 punti del prelievo contributivo. Il lavoratore, quindi, verserebbe per sempre all’Inps non il 33% ma il 29-30%.Insomma un taglio permanente del cuneo fiscale, come auspicato da imprese e sindacati, ma che ovviamente avrebbe un costo molto maggiore.
Sul fronte della previdenza, ha spiegato Leonardi, le ipotesi allo studio riguardano la flessibilità di uscita verso il pensionamento, necessaria soprattutto se verrà confermato il meccanismo di adeguamento della stessa età alla speranza di vita, come previsto dalla legge. Ancora ieri i sindacati hanno protestato, chiedendo al governo di bloccare il meccanismo che farebbe aumentare l’età per la pensione di vecchiaia a 67 anni dal primo gennaio 2019 e progressivamente la porterebbe a 70 anni verso il 2050. Anche il blocco dell’adeguamento avrebbe però un costo. Per questo la partita è aperta. E tra le ipotesi sul tavolo c’è anche quella di affiancare all’Ape social, l’anticipo di pensione che interessa limitate categorie di lavoratori a partire dai 63 anni, e all’Ape volontaria (ancora da attuare), una sorta di liberalizzazione della previdenza integrativa. In sostanza, sempre a partire dai 63 anni, il lavoratore che abbia un fondo pensione capiente, dovrebbe poter chiedere un assegno, cioè una sorta di pensione anticipata. Lo Stato agevolerebbe questo meccanismo con gravi fiscali.
Infine, le politiche attive del lavoro. Con la fine dell’indennità di mobilità e della cassa integrazione in deroga, ha spiegato Leonardi, c’è l’esigenza di potenziare gli strumenti di formazione e ricollocamento. Si tratterebbe di dotare fin da subito il lavoratore che finisce in cassa integrazione straordinaria di un assegno da spendere presso soggetti abilitati. Insomma, un’estensione dell’assegno di ricollocamento che si sta sperimentando limitatamente a chi è disoccupato da più di quattro mesi.
Sempre ieri, la commissione Lavoro della Camera ha approvato la relazione sulle disparità di genere in materia previdenziale. Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ha promesso che verranno presi in considerazione interventi per rafforzare le pensioni delle lavoratrici madri o impegnate nel lavoro di cura.