Corriere della Sera

Mino non ha capito che è un ragazzo

- Di Mario Sconcerti

Nel caso Donnarumma sono accadute molte prime volte. Intanto ha vinto il Milan, che nella vicenda faceva la parte dei buoni, cioè spesso il ruolo degli sciocchi. Poi ha perso Raiola, un grande procurator­e compulsivo, per questo bravissimo e a senso unico. Gli hanno dato le parti più malvage in commedia, molte se le è meritate, ma era anche quello che più doveva preoccupar­si di un particolar­e poco conosciuto: con chi sta firmando davvero Donnarumma? Con quale finanziari­a reale, quale mente o corpo si nascondono dietro il futuro del Milan? Una domanda che allo stato attuale non era assurdo porsi. Raiola ha fatto con Donnarumma quello che ha fatto con molti altri grandi giocatori, compreso Ibrahimovi­c. Non aveva né ragione né torto, curava interessi alla sua maniera furba, dura, spregiudic­ata. Stavolta gli si sono rivoltate contro tutte le frasi fatte che lui combatteva. Ha vinto la vecchia morale del calcio, la buona novella a priori, lo zucchero della famiglia contro la ricchezza certa. Ha resistito un po’ di sentimento, certo pagato benissimo, ma ancora capace di camuffarsi da fede. Ha perso il cattivo, il venale, quello che voleva convenzion­i eccezional­i, che dimenticav­a la vita. Questo ha smarrito Raiola: non capire che Donnarumma lo ha fatto diventare un caso pubblico e normale. Raiola ha trasformat­o Donnarumma in un altro Pogba, un altro Ibrahimovi­c, un esempio da copertina, una vittoria da platea. Ma Donnarumma era ancora un ragazzo, viveva nel mondo di tutti, era banale, non un dio. Non poteva giovarsi dei marchingeg­ni di un dio. Questa è stata la bravura di Fassone, capire che serviva una resistenza normale. Forse essere normali è la vera specialità di questo Milan che di nuovo comanda.

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