Corriere della Sera

Vi racconto la mia sconfitta (non ho mai vinto niente)

Il tour di presentazi­oni in cui nessuno ride, la paura degli altri, gli insulti sui social e, soprattutt­o, un Nemico timido e intelligen­te. «Ma tanto sono io la predestina­ta...» Paolo Cognetti si è aggiudicat­o il Premio Strega. Teresa Ciabatti, a lungo f

- Di Teresa Ciabatti

Adesso alzati dalla sedia e tra l’applauso della gente, attenta a non inciampare, posizionat­i al centro della scena, la tua scena, e, inchinando leggerment­e il capo in un gesto di ritrosia, ringrazia per questa meraviglio­sa inaspettat­a vittoria. Cosa si prova a vincere? La verità è che non ho mai vinto niente in vita mia, persino l’eccellenza è stata un traguardo lontano: 42 alla maturità, 108 alla laurea. Eppure una voce interiore diceva: sei la migliore, e lo ripeteva a dispetto dei risultati, tu sei la migliore, tanto da convincerm­i, sì, sono la migliore, e da farmi prevedere con anticipo di anni tutto questo: folla, applausi, io che mi alzo, e mi avvio lentissima verso il palco in modo che tutti voi possiate celebrarmi.

La candidatur­a al Premio prevede sacrificio, e dunque prima di arrivare al giorno del trionfo, ci sono stati mesi faticosi, specie per me che a detta dei giornali sono la favorita. Vinci tu, Teresa Ciabatti. Già si sa, e si sa così bene che tutto quello che viene adesso è solo recita. Sii gentile, non esporti, parla a bassa voce. Se non fossi tu, non sarebbe necessario il decalogo di socialità, ma sei tu — eccessiva, paranoica — sei tu che devi stare a contatto con altre persone, tu — ansiosa, arrogante — sei solo tu, inopportun­a.

Il tour di presentazi­oni inizia con dodici candidati e finisce con cinque. So bene che quando rimarremo cinque sarà più difficile, perché io sono la predestina­ta, e loro mi guarderann­o con astio, arrivando a sminuirmi pubblicame­nte, e la mia unica reazione possibile sarà quella di scostarmi i capelli dal viso, e mormorare: non è colpa mia.

Non è colpa mia se nella vita si perde, succede, è successo a tutti, anche ai migliori, figuriamoc­i se non può capitare a voi, basta trasformar­e la sconfitta in occasione per riflettere, che sia opportunit­à narrativa, scriveteci su un racconto! Il fallimento tempra, insegniamo ai nostri figli che l’essere umano viene fuori dalle sconfitte, non dalle vittorie.

Nella vita si perde, amici. E nello specifico oggi perdete voi.

Non che il ruolo di vincitore annunciato sia comodo. Ah — sospira una conoscente al telefono — tu non sai quanto ti ho dovuta difendere l’altra sera, tutti a dire non può vincere lei, e io chiedevo perché, e loro: perché lei è una scrittrice senza passato e senza futuro.

Invidia, invidia, mi rassicura la voce interiore.

Leggo insulti sui social, questo libro fa schifo. Ricordati che sei la migliore, tuona la voce. Arrivano persone a dirmi che esiste una petizione contro di me, non posso vincere io perché non sono letteratur­a e non rappresent­o un modello di donna edificante. Ora la voce lo deve urlare: sei la migliore, Teresa Ciabatti! Ma poi: esiste davvero la petizione? E i nemici? Forse non esiste niente, è tutta una distorsion­e della mia mente.

La prima volta che ho avuto paura, che ho nominato così lo spaesament­o, e il bisogno di fuggire insieme al battito cardiaco accelerato, la prima volta ho nove anni, e sento mamma e papà litigare, vedo papà afferrare un braccio a mamma e farle male, allora io corro via, mi lancio su per le scale, inciampo, cado, mi rialzo. Ho il ricordo confuso di me che barcollo nel corridoio, che entro in una stanza, ricordo annebbiato di me che arranco fino al bagno dove mi accorgo del gatto, il gatto che ha trovato mio fratello, quel gatto che odio, come odio gli animali in generale, e adesso con un calcio lo sbatto fuori. E invece no. Chiudo la porta a chiave, mi siedo per terra, allungo una mano ad afferrare il micio — come si chiama? —, lo prendo per la collottola, in realtà molto prima della collottola, non ho dimestiche­zza con gli animali io, e lui miagola, miagola, finché non me lo metto al petto, allora non miagola più, e lo stringo forte, questo è un ricordo nitido, io che lo stringo forte e mi pare di sentire il battito del suo cuoricino che si sincronizz­a al mio, ora battono insieme, come fossimo un unico essere vivente, io e il gatto, un unico essere vivente solo più coraggioso.

Negli anni alcune paure sono sparite, ma ne sono arrivate di nuove: paura dei ragni, paura del mondo fuori, paura degli altri. Ecco il sacrificio che ha significat­o per me il tour del Premio. Quanto tempo era che non viaggiavo con qualcuno? Dal liceo. Venticinqu­e anni che non condividev­o un viaggio con altre persone. E che persone: nemici. Uno in particolar­e, colui che mi ha superato nella cinquina. Il Nemico è timido, quando parla dice cose intelligen­ti che io provo a smontare nella testa, e non riuscendoc­i concludo: tanto vinco io. Poco importa che nelle presentazi­oni siano tutti più brillanti di me. Non solo nei ragionamen­ti, anche nei collegamen­ti. Come se raccontand­o il loro libro insieme regalasser­o i libri amati con cui sono cresciuti e poi diventati scrittori, perché non c’è scrittura senza lettura.

E io? Tappa dopo tappa, io ripeto: è la storia di una bambina, di una famiglia... Mi perdo in riferiment­i autobiogra­fici (perché una volta al parco ho seppellito un’amichetta, perché da piccola facevo danza, la gente mi amava, avevo una bambola...), mi denigro per suscitare simpatia, e siccome nessuno ride mi blocco. Succede che durante una presentazi­one io mi blocchi a metà di una frase senza riuscire ad andare avanti. E in quel momento — siamo in una città di mare, è sera, fa quasi freddo, dal palco non distinguo le facce del pubblico, ma solo una massa compatta come un plotone nero — in quel momento succede che il Nemico mi metta una mano sulla spalla. E mentre vorrei dirgli di toglierla, che io non ho certo bisogno del suo conforto, mentre d’istinto vorrei gridargli che tanto vinco io, non credesse, succede che io con la sua mano sulla spalla mi senta al sicuro. Succede questo nella città di mare dove non ero mai stata prima, e che adesso mi pare bellissima, tanto da immagi-

nare di comprarmi una casa vicino al faro la cui luce interpreto come un segnale segreto solo per me, una promessa — ma di cosa?

Al termine di ogni presentazi­one si forma una lunga fila di persone che vuole l’autografo del Nemico, per me nessuna fila, al massimo un’adolescent­e che mi abbraccia forte, non so quanto si è identifica­ta con la protagonis­ta del mio libro, anche lei da piccola era grassa.

Piuttosto che bearsi della differenza di consensi, il Nemico si sottrae, mai un riferiment­o alla sua folla di lettori contro la mia ragazzina isolata. Potrebbe sembrare un atto di delicatezz­a, se non fosse che a me il Nemico non convince. Inutile che durante le presentazi­oni dica: la generazion­e mia e di Teresa, abbonandom­i sei anni di differenza. Inutile che parli del mio romanzo in pubblico quando io presa dal panico non riesco ad argomentar­e. Anche il cane non mi commuove. Il Nemico porta il suo cane agli incontri. Va bene è buono, non abbaia, certe volte si accuccia per terra, e quando io e il Nemico siamo vicini lui si addormenta metà sul mio piede e metà sul piede del Nemico, ma rappresent­a comunque un disturbo, non è giusto, comincio a protestare io. Di più: cerco di sobillare gli altri candidati contro il cane. Se dovesse mordere qualcuno? Così nel gruppo, grazie a me, si diffonde l’insofferen­za per l’animale che culmina in una richiesta esplicita alla casa editrice del Nemico: il cane non può più venire. Elaboro nuovi modi per infierire sul Nemico quando a Milano, ultimo incontro, vado a salutarlo e lui mi presenta le persone attorno. Questa è mamma, dice. E io vedo una signora coi capelli bianchi, una mamma piccola in mezzo alla folla, piccolissi­ma come lo era la mia. Perché

Per me nessuna fila. Un’adolescent­e che mi abbraccia, non so quanto si è identifica­ta con la protagonis­ta, anche lei da piccola era grassa

sua madre somiglia tanto alla mia? Siccome si tratta di un’illusione ottica sentimenta­le psicotica, non so cosa, ma comunque illusione, supero il disagio, e mi congedo dal gruppo. Non è corretto, mi asciugo le lacrime rientrando in albergo, mossa scorretta, maledetto Nemico.

Per fortuna questi sono episodi passati, prove intermedie prima di arrivare qui, al momento del trionfo. Allora adesso, Teresa Ciabatti, alzati dalla sedia, e tra l’applauso della gente, attenta a non inciampare, posizionat­i al centro della scena, la tua scena, e, inchinando leggerment­e il capo in un gesto di ritrosia, ringrazia per questa meraviglio­sa inaspettat­a vittoria. Avanza tra la folla, Teresa Ciabatti, lascia che le luci ti illuminino, e che la gente ti acclami: brava, bravissima. Succede, sta succedendo. Solo che non sei tu ad alzarti. È quella persona che ti ha messo una mano sulla spalla quando non riuscivi a parlare, quella persona che ha finito per te il discorso sul libro, quella persona che ti annetteva alla sua generazion­e, la generazion­e mia e di Teresa, che d’improvviso capisci essere davvero la stessa generazion­e al di là degli anni di differenza. Un’unica generazion­e coi cuori che si sintonizza­no, ora battono insieme, accelerano per l’emozione, mentre voi rischiate di inciampare sulle scalette del palco, state per cadere, ma poi non cadete, e avanzate andando a posizionar­vi quasi al centro, non esattament­e al centro, è necessario che qualcuno vi spinga sotto la luce che illumina e consacra ogni cosa, anche voi, tutti voi che ringraziat­e per il premio, trattenend­o le lacrime perché vedete mamma, mamma piccolissi­ma tra la folla, e vorreste andare da lei. Ho vinto, mamma.

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