Corriere della Sera

Franceschi­ni e il nodo alleati

Il ministro: siamo al governo con i centristi, quel campo c’è e ha guidato il Paese con noi

- di Francesco Verderami

Sostiene Franceschi­ni che Renzi dovrebbe imparare dalla Dc e persino da Berlusconi l’importanza delle alleanze, che non è argomento di Palazzo ma «una questione politica ineludibil­e» per governare. Dunque interessa al Paese.

Per questo motivo Franceschi­ni sostiene che Renzi non potrà sfuggire alla questione, e che «a prescinder­e dal modello di legge elettorale che verrà adottato, il nodo andrà sciolto. Prima o dopo il voto». E non basta evocare la fallimenta­re esperienza dell’Unione per chiudere il discorso e chiudere la bocca a quanti lo sollevano, deridendol­i come «residuati bellici». Semmai è sospetto il tentativo di accreditar­e la tesi che «un partito da solo possa vincere»: «Anche perché, se in un sistema multipolar­e è già difficile che una coalizione riesca a conquistar­e la maggioranz­a in Parlamento, figurarsi cosa potrebbe fare una singola forza politica».

Avere i numeri per governare il Paese è una questione della quale il Pd deve farsi carico, secondo il ministro della Cultura: «E allora serve certamente un programma, serve l’azione di un leader, serve l’organizzaz­ione di un partito. Ma servono anche gli altri». Cioè gli alleati. C’è un motivo se Franceschi­ni fa due esempi. Parte dal più recente, cita Berlusconi, l’acerrimo avversario di un ventennio, che «nei momenti in cui era vincente e aveva la massima presa carismatic­a sulla pubblica opinione, si curava di accogliere nella sua alleanza anche il Partito dei pensionati».

È vero, era la stagione del bipolarism­o, l’epoca delle «scelte di campo», con il maggiorita­rio che decretava la vittoria di una coalizione per un voto. Ma lo stesso metodo era già stato adottato ai tempi della Prima Repubblica e del proporzion­ale dalla Dc, che «fin dal 1948 volle avere al suo fianco i partiti laici. E in tutte le successive campagne elettorali non pensò mai di alzare la soglia di sbarrament­o della legge elettorale per sbarazzars­i di quelle forze. Semmai si fece carico delle loro esigenze, perché con loro puntava a governare nella legislatur­a successiva».

Il riferiment­o non è casuale, rimanda al modo in cui il segretario democratic­o ha gestito la recente trattativa sul modello «tedesco», e senza curarsi dell’alleato centrista ha posto la soglia di sbarrament­o al 5%. Quando Alfano ha avuto da ridire, Renzi gli ha risposto che «se dopo cinque anni al governo non riesci a prendere il 5% alle elezioni, non possiamo bloccare tutto». Dietro quella inusitata violenza verbale è affiorata per un istante una concezione della politica ridotta a mera logica clientelar­e, è stato riesumato l’andreottis­mo più deteriore, rivisitato in chiave moderna nell’idea di un bonus-un voto.

Sostiene Franceschi­ni che il Pd dovrebbe avere un approccio diverso, parlare di alleanze partendo «dal campo del centrosini­stra, oggi in evoluzione, e anche dal campo di quell’area che ha sostenuto» i gabinetti Letta, Renzi e Gentiloni: «Perché i governi in questa legislatur­a non sono stati solo del Pd, si sono retti sulle alleanze. All’inizio con le larghe intese e dopo la rottura di Berlusconi con i centristi. Quando andremo al voto non potremo raccontare agli italiani che quel campo non c’è più. Quel campo c’è e ha guidato il Paese insieme a noi».

È un modo per sottolinea­re che i dividendi dell’azione di governo, «un’azione positiva», non sono solo del Pd. È un modo per costruire i presuppost­i di una nuova collaboraz­ione a Palazzo Chigi, come faceva appunto la Dc, che «in campagna elettorale non bastonava mai gli alleati. E infatti guidò l’Italia per cinquanta anni». Storia vecchia? Roba da «residuati bellici»? Franceschi­ni sostiene che non è così. Le regole della politica non sono mutate. Valgono ancora, anche per i segretari di partito, anche per chi ha ottenuto due milioni di voti alle primarie: «Un segretario guida una comunità, tiene insieme tutti con pazienza, senza vedere dietro ogni pensiero diverso un tradimento o un complotto».

Peraltro le liste di proscrizio­ne, le minacce sulle ricandidat­ure, quel proposito fatto trapelare di portare in Parlamento solo i fedelissim­i, non solo offre l’immagine di un partito sulla difensiva, ma potrebbe alla lunga non reggere. I fedelissim­i infatti sono quelli che, se il capo avanza, seguono. Ma se il capo indietregg­ia, si dileguano. Non è questione di tradimento, altrimenti cosa dovrebbe pensare Renzi degli attuali gruppi parlamenta­ri del Pd, giunti alle Camere con Bersani segretario? Certo che ci sono interessi personali, ma c’è anche una logica politica: è il progetto che unisce. E per quanto gli eletti possano essere a immagine e somiglianz­a del leader, in caso di difficoltà potrebbero cambiare verso. «La lealtà è cosa diversa dall’ubbidienza», sostiene Franceschi­ni.

La Democrazia cristiana fin dal ’48 volle avere al suo fianco i partiti laici e non cercò mai di sbarazzars­ene

Gli esecutivi Letta, Renzi e Gentiloni non hanno avuto solo il sostegno dei dem, si sono retti sulle alleanze

Il leader di FI, quando era al massimo del carisma, si curava di accogliere anche il Partito dei pensionati

Un segretario guida una comunità, tiene tutti insieme con pazienza, senza vedere complotti

 ?? Corriere della Sera ?? *Della direzione Pd fanno anche parte di diritto: il segretario, il presidente, i vicesegret­ari, il tesoriere, il massimo dirigente dell’organizzaz­ione giovanile, i capigruppo, i segretari regionali, i sindaci delle città metropolit­ane iscritti al Pd...
Corriere della Sera *Della direzione Pd fanno anche parte di diritto: il segretario, il presidente, i vicesegret­ari, il tesoriere, il massimo dirigente dell’organizzaz­ione giovanile, i capigruppo, i segretari regionali, i sindaci delle città metropolit­ane iscritti al Pd...

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