Corriere della Sera

Consip, Woodcock in Procura: sulla fuga di notizie cercate altrove

Interrogat­o dai colleghi di Roma spiega: quel giorno non ero con Sciarelli

- Giovanni Bianconi

Imprendito­re Appena rimesso in libertà dal giudice, Sergio Scarpellin­i, che ora ha solo l’obbligo di firma, ha assistito a una sfilata di moda (LaPresse)

Non ha solo respinto l’accusa di aver soffiato al quotidiano Il Fatto le notizie sull’inchiesta Consip, il pubblico ministero anglo-napoletano Henry John Woodcock; ai colleghi romani che l’hanno interrogat­o per un’intera mattinata ha anche offerto qualche pista alternativ­a sulla violazione del segreto che — ha sempre detto e ha ribadito ieri — ha danneggiat­o anche lui. La possibile dell’Arma Tullio Del Sette e del ministro Luca Lotti, svelata dal Fatto in prima pagina il giorno dopo a quello in cui è materialme­nte avvenuta, ne erano a conoscenza anche alcuni investigat­ori, i cancellier­i del suo ufficio, l’altra pm napoletana titolare del fascicolo Celeste Carrano e l’ex procurator­e Giovanni Colangelo.

Il faccia a faccia tra Woodcock (assistito dall’avvocato Bruno La Rosa) e il procurator­e di Roma Giuseppe Pignatone, l’aggiunto Paolo Ielo e il sostituto Mario Palazzi è avvenuto dopo che a lui e alla sua amica Federica Sciarelli è stato notificato l’avviso di garanzia in qualità di inquisiti. La scorsa settimana la giornalist­a di Raitre, che tra il 20 e il 21 dicembre 2016 ricevette alcune inusuali telefonate da Lillo, ha negato ogni responsabi­lità. Ieri è toccato al pm che, da inquirente a inquirenti, ha spiegato come e perché non è stato lui a svelare al giornalist­a quello che stava avvenendo fra Roma e Napoli.

Tutto s’è consumato a cavallo di quei due giorni, meno di Governator­e Pierluigi Marquis 24 ore, tra la scoperta delle microspie negli uffici della Consip, l’interrogat­orio serale dell’ex amministra­tore delegato Luigi Marroni che ha raccontato di aver saputo delle indagini dai vertici dell’Arma e da Lotti, l’ipotesi di perquisire Tiziano Renzi caldeggiat­a dai carabinier­i del Noe e stoppata dai pm romani avvisati, la testimonia­nza di Filippo Vannoni raccolta la mattina seguente, l’iscrizione formale sull’apposito registro dei nomi chiamati in causa e la trasmissio­ne degli atti nella capitale. Oltre ad avere fornito un elenco delle persone a conoscenza di quanto avvenne, il pm inquisito ha ricostruit­o i suoi movimenti fra Napoli e Roma in quelle stesse ore, sostenendo che nei momenti in cui Lillo parlò con la Sciarelli, lui non si trovava con lei; a dimostrazi­one di questo, avrebbe anche citato un prelievo da uno sportello bancomat distante dal luogo in cui si trovata la giornalist­a mentre era al telefono con Lillo.

Ora i colleghi che l’hanno messo sotto inchiesta dovranno procedere a svolgere accertamen­ti per verificare l’attendibil­ità di quanto riferito da Woodcock. Ben consapevol­i che l’atto dirompente e invasivo compiuto (con tanto di sequestro del cellulare della Sciarelli) va a sommarsi con l’indagine disciplina­re sul pm partenopeo avviata dal procurator­e generale della Cassazione e a quella per incompatib­ilità ambientale aperta dal Consiglio superiore della magistratu­ra. Tutti vogliono evitare strumental­izzazioni, e l’interrogat­orio di ieri doveva servire anche a questo scopo. Woodcock ha risposto a tutte le domande, comprese quelle sui messaggi scambiati via WhatsApp fra i carabinier­i del Noe Giampaolo Scafarto e Alessandro Sessa (rispettiva­mente indagati per falso e depistaggi­o). I due ufficiali, a settembre scorso, parlando del pm, si dicevano che aveva riferito loro «cose brutte», ma non hanno voluto spiegare a che cosa si riferisser­o. Woodcock invece sì.

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