Giacomo, il tecnico dei crolli che voleva risanare tutto travolto con moglie e figlio
TORRE ANNUNZIATA (NAPOLI) Non avesse abitato lì, in quell’attico di via Rampe Nunziante dal quale vedeva il mare e la Costiera sorrentina fino a Punta Campanella, l’architetto Domenico Cuccurullo adesso starebbe esattamente lì, in via Rampe Nunziante, a coordinare i lavori per conto del Comune. Era dirigente dell’ufficio tecnico, e i colleghi lo chiamavano «quello dei crolli», perché qualunque cosa del genere accadesse a Torre Annunziata — il cedimento di un vecchio stabile, uno smottamento del terreno, una frana — era di sua competenza. Andava sui posti, teneva i contatti con i Vigili del fuoco, e se c’era da firmare un’ordinanza di sgombero, oppure di messa in sicurezza sia per edifici privati che pubblici, se ne occupava lui.
Nella sua carriera professionale avrà controllato decine e decine di stabili, e quello che gli mancava era proprio il suo. Però una mezza idea in mente ce l’aveva: diceva che quel palazzo si trovava «in uno dei posti più incantevoli di Torre Annunziata», e che non lo si poteva tenere in quelle condizioni in cui mostrava tutte le rughe dei suoi sessanta e passa anni. Aveva preparato un progetto di manutenzione, sia ordinaria che straordinaria e stava cercando di convincere tutti gli altri condomini a farsi carico con lui del costo dei lavori. Se lo immaginava rinnovato da cima a fondo quello stabile che adesso è un cumulo di macerie che finora hanno restituito soltanto il suo corpo e quelli di sua moglie e suo figlio, ma che ancora imprigionano altre cinque persone.
Marco, il figlio di Giacomo, forse si sarebbe potuto salvare, se solo avesse incontrato un amico con il quale fermarsi a bere una birra o, meglio, un cappuccino. Pare che ieri fosse tornato a casa alle cinque del mattino, magari si era addormentato da pochi minuti quando la casa gli è crollata addosso. Giacomo, come è normale per un papà, era orgoglioso di lui e anche della sua ragazza, Francesca. Aveva il cellulare pieno delle loro foto, ma anche di quelle della moglie, Adelaide, che lui chiamava Eddy. Una donna in gamba. Sindacalista della Cgil delegata ai rapporti con l’Ufficio scolastico, aveva tanta di quella grinta che per qualunque ricorso o contestazione il sindacato si affidava a lei.
L’elenco delle vittime si ferma a loro tre. Perché l’ufficialità conterà pure qualcosa e gli altri cinque sono nomi di dispersi. Giuseppina Aprea è un’altra che adesso potrebbe non stare sotto quelle macerie. Ogni mattina alle 7 usciva da casa e andava a fare jogging sulla litoranea. Si è sperato che ieri fosse uscita più presto, magari perché doveva cominciare prima a fare il suo lavoro di sarta nel laboratorio che aveva in casa. Ma no, Pina stava lì quando è crollato tutto. Lo conferma il nipote che l’ha cercata inutilmente per ore sul cellulare prima di rassegnarsi.
E poi c’è l’altra famiglia, quella di Salvatore Guida, l’ostricaro, come viene chiamato a Napoli chi vende i frutti di mare, di sua moglie Anna e dei loro figli Francesca e Antonio. Abitavano al terzo piano, e se i primi corpi ad essere recuperati sono stati quelli di chi occupava l’attico, loro probabilmente stanno proprio in fondo.