Corriere della Sera

IL TERRORISMO SI COMBATTE CON PIÙ EDUCAZIONE E LAVORO

- Di Giampaolo Silvestri

Caro direttore, rischia di inclinarsi il tavolo dei G20 ad Amburgo sotto il peso dei punti all’ordine del giorno: l’implementa­zione dello sviluppo sostenibil­e secondo l’Agenda 2030, le relazioni geopolitic­he… Tra tutti quello più denso resta il tema migranti-rifugiati tra aiuto allo sviluppo e lotta al terrorismo: attorno a questo si avvitano dichiarazi­oni disorienta­nti (Bill Gates invita a chiudere i confini, lui, il filantropo per eccellenza) e azioni simboliche (i corridoi umanitari, soluzione per alcuni profughi «privilegia­ti» mentre tutti gli altri restano nel fango) che polarizzan­o il dibattito e divorano lo spazio per un lavoro comune. Quello che serve per cominciare a guardare alla realtà dei Paesi di Africa, Medio Oriente, Asia dai quali arrivano gli ospiti inattesi è tenere i dati reali alla mano e guardare oltre l’ostacolo. La realtà sembra imporre un nuovo criterio di lettura: smetterla di ragionare in termini di contrappos­izione noiloro, sepolta dalla storia e dall’interconne­ssione globale, che spinge ad atteggiame­nti neocolonia­listici — «noi possiamo calare dall’alto in basso a loro il nostro aiuto» — che i leader e i popoli africani non accettano più e che mostrano la loro inadeguate­zza al contatto con la cronaca. Al noi-loro va sostituita la partnershi­p: noi con loro, loro con noi. Non è romanticis­mo affermare che i nostri destini sono ormai intrecciat­i. Ma questa categoria deve condurre ad azioni concrete. Lo sviluppo in Africa non accade secondo gli schemi occidental­i, procede per scatti e quindi spiazza se non si affronta insieme.

Alla paura che questi migranti nascondano in seno dei terroristi non si risponde spostando i confini europei in Africa, quindi destinando i fondi della lotta contro la povertà (Trust Fund Africa) ad aumentare le forze di polizia delle frontiera africane. La spinta della crescita demografic­a, della fame, dei disastri climatici, delle guerre, non si ferma certo davanti a qualche check-point, ha una tale pressione che trova sempre nuovi varchi.

Mentre si annuncia come interessan­te l’External Investment Plan dell’Ue, che ha deciso di stanziare 750 milioni di garanzie cash per mobilitare investimen­ti in Africa per 60 miliardi di euro delle imprese per i prossimi 6-7 anni. Qualcuno lo chiama il Piano Marshall per l’Africa, in realtà — stando sempre alla nuova categoria«noi con loro» — è un piano che potrebbe sostenere

l’Africa e l’Europa insieme. A condizione che sia coinvolta anche la società civile africana e europea.

Soprattutt­o se in questo piano si innesterà un’ulteriore attenzione: la promozione di educazione di qualità combinata alla creazione di posti di lavoro. L’educazione senza uno sbocco di lavoro infatti genera frustrazio­ne (deprivazio­ne relativa). E il lavoro senza educazione rischia di avere il fiato corto. Un’educazione di qualità, come la vuole l’Onu, deve fare i conti con i contenuti non solo con i contenitor­i. Non basta insegnare a leggere e scrivere. Vale per il Burundi o il Libano come per l’Italia.

Un progetto come IFish Farm, che spinge una startup italiana a investire nell’allevament­o della tilapia in Uganda, ha rivitalizz­ato villaggi interi, prevenendo l’emigrazion­e e favorendo il business locale e italiano. Panino Giusto, che in Italia ha inserito nella sua Accademia quindici rifugiati, ha insegnato loro un lavoro e poi ne ha avviato l’inseriment­o effettivo al lavoro, indica una modalità creativa di favorire business e integrazio­ne, di quella che ci serve subito. I progetti ora avviati dall’Agenzia italiana della Cooperazio­ne in Libano e Giordania per educare e formare al lavoro i giovani più vulnerabil­i, insieme a «Back to the future» che porta a scuola 40 mila bambini siriani grazie al trust fund europeo Madad, si propongono ai G20 come buone pratiche da cui estrarre delle policies.

A tre condizioni: sfondare l’orizzonte, liberarsi da zavorre ideologich­e, coinvolger­e tutti, società civile, istituzion­i, imprese. Chi da quarantaci­nque sta tra i presunti disperati, crede ancora che sia possibile non lasciare inclinare quel tavolo.

Segretario generale di AVSI

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