«Con la scienza si diventa troppo vecchi»
Mia suocera è mancata il 4 gennaio di quest’anno. Aveva 94 anni e mezzo e l’ultimo anno e mezzo l’ha trascorso in una residenza per anziani dove è stata amorevolmente accudita. Soffriva di una sempre più diffusa malattia: la vecchiaia che riduce sempre più le capacità cognitive e motorie, controindicazione principale quando si vive a lungo. In quell’istituto vivono persone che risiedono lì dall’infanzia: è sorto più di 100 anni fa per volontà di un benefattore milanese che ha voluto fondare un ritrovo per chi, sfortunato, non avesse da vivere perché abbandonato dai genitori o orfano. Mia moglie e io abbiamo accudito e accompagnato mia suocera fino all’ultimo. Altri contavano le ore che le potessero rimanere e, in nome di una presunta e ipocrita pietà, si auguravano che il più presto possibile smettesse di soffrire ... Già, ma cosa vuol dire vivere, cosa vuol dire soffrire, cosa vuol dire amare la vita anche senza particolari prospettive che non siano le proprie finestre sullo stesso giardino. Forse vuol dire «rispettare» la vita e chi la interpreta, senza la presunzione di esserne superiore. Forse vuol dire che si può decidere di andarsene prima, ma nessuno deve ritenersi superiore a tal punto da preferire un tipo di vita a un altro. Forse vuol dire amare inconsciamente quel sentimento oramai «vecchio» che si chiama «rispetto», per sé e per gli altri, quel rispetto che in effetti oramai provano solo i vecchi.
Giovanni B. Ogni sabato pubblichiamo il ricordo di una persona che ci ha lasciato