Dolce & Gabbana Sfila la Sicilia del Gattopardo
Palazzi, ville e terrazze aperti per quattro giorni Abiti con pupi, cassate e il carretto siciliano ma portati (anche) con le sneakers. I due stilisti: «Mai come questa volta ci siamo sentiti noi stessi»
ÈGiulia che esce, per prima. Bionda normanna e siciliana. Sale le scale cinquecentesche foderate di velluto rosso e maestosa con il suo abito da gran ballo e la corona apre le danze della Dolce & Gabbana Alta Moda, un carillon di racconti siciliani che anima in questa notte d’estate una delle piazze più belle di Palermo, piazza Pretoria. «Noi fummo i gattopardi, i leoni: chi ci sostituirà saranno gli sciacalli, le iene e le pecore; e tutti quanti, gattopardi, leoni, sciacalli, iene e pecore, continueremo a crederci il sale della terra» diceva il principe di Salina ed è la frase scritta in corsivo a mano e che scorre sotto gli occhi di tutti al passaggio della grande gonna di seta bianca con le ceramiche dipinte a mano dei pavimenti di palazzo Gangi. «Un omaggio alla nostra Sicilia — raccontano gli stilisti — crocevia di cultura, arte, artigianato. E la storia di Palermo con i popoli che l’hanno attraversata. Con tutte le sue contraddizioni, fra aristocrazia e volgo. Con le sue bellissime dimore che i proprietari hanno aperto per noi, eccezionalmente. E la vucciria e i mercati». Già palazzo Gangi (Alta Gioielleria donna) ma anche palazzo Mazzarino (Alta Gioielleria uomo) e Villa Igiea e la tonnara di palazzo Florio e il castello Lancia Branciforte di Trabia; con una deviazione a Mondello (Alta Sartoria uomo), in piazza Guglielmo. Quattro giorni con i portoni e i balconi e i saloni e le terrazze aperte a un mondo (i clienti e le clienti, uomini e donne fra i più ricchi al mondo) che nella maggior parte dei casi, poco conoscevano di questa incredibile storia, e quel poco — forse — proprio attraverso gli abiti di Dolce & Gabbana che da sempre la raccontano. «Mai come in questa sfilata ci siamo sentiti noi stessi. E crediamo che vedendo questo lavoro le nostre clienti ci abbiano capito sino in fondo».
E la sfilata scorre così didascalica nei riferimenti — dai pupi ai carretti siciliani, le cassate, i pizzi, l’uncinetto, il barocco, il neoclassico, i normanni, il corallo di Sciacca, il liberty, il moresco, l’arabeggiante, religiosità, Costantinopoli, il ballo della cordella — che non avrebbe bisogno di sottotitoli se non fosse che l’interpretazione e la licenza di usare tutto senza regole alcune ma seguendo istinto e passione e ironia. Ne giorno, né sera. Giulia (Maenza) apre con l’abito gattopardesco ma poi ecco un lungo gilet maschile ricamato, pantaloni e sneakers, a seguire un tubino morbido che è un capolavoro a punto croce di fiori e scene dalla Vucciria; poi un completo di tulle ricamato d’oro; e un altro con i quattro Canti; e poi i jeans sulla blusa corredo di batista bianco. Dalle ciabattine alle decolleté. Senza mai abbassare la guardia su lavorazioni e preziosità, sia che sotto le mani delle ormai 120 sarte (erano venti quando, sei anni fa l’avventura dell’Alta Moda è cominciata) ci fosse la maglia sportiva da college (di raso e ricamata) sia l’abito tutto perline di cristallo a comporre quadri floreali liberty da non credere per i quali sono occorsi mesi e mesi di lavorazione. Artigianati ritrovati: dall’uncinetto (ci sono capi interamente realizzati così) al chiacchierino, una tecnica delicatissima con spilli e filo sottile per necessita ore e ore di manodopera, che un tempo le artigiane trascorrevano chiacchierando, da qui il nome. «Non puoi che restare incantato di fronte a queste tradizione», dice Domenico Dolce, che va fiero un atelier sempre più grande e giovane: «Dieci sfilate d’alta moda in soli sei mesi, quasi seicento abiti fatti a mano, sono una soddisfazione unica». Uno sforzo creativo disumano: «Ma soprattutto nella realizzazione. Ci sono le mie premiere sfinite!». «Figuratevi le facce quando abbiamo chiesto l’abito carretto o quello cassata», e non stupisce neppure che poche ore prima lo show alcuni abiti erano ancora sotto aghi e ferri da stiro.
Centosedici creazioni. Ogni uscita un nome di donna o personaggio: «Nessuna corrisponde alla realtà, ma solo e soltanto alla nostra fantasia, con uno sguardo alle nuove generazioni perché abbiamo molte giovani clienti e l’approccio all’alta moda deve cambiare». Ecco Mimuna con i jeans bianchi tempestati di cuori di rubini e lo sciallo nero di croquet e la blusa di pizzo e orecchini-lampadario di diamanti. E Filomena con il più classico fra i tailleur-guepiere Dolce & Gabbana, nero, di pizzo, con tanto di velo da prefica e per borsa lo zaino tutto un ponpon e un centrino colorati all’un-
cinetto. Concetta dalle sopra-ciglia folte in nero tragico di pizzo e frange e croquet (le tecniche «impazzite» che sono copyright dei due) con una corona enorme. Caterina tutta cuori ex voto applicati. Lavitrano, un po’ picciotto, con giacca e pantaloni bianchi e intarsiati e coppola nera. Bradamante, una «pupo» con tanto di elmo e pennacchio. Concetta in tulle a piccolo punto d’oro. Elvira, tutta frange e rose e passione. E Angelica, naturalmente in raso stampato con gli angeli. Non c’è uscita che non lasci a bocca aperta. L’apoteosi del finale con gli abiti «carretto siciliano» colorati e maestosi e chiassosi, dipinti e addobbati da chi fa i souvenir, ma comunque portabili. E questa è la vera e sorprendente magia. Applausi e brindisi e la commozione di Domenico che qui è nato e di Stefano che qui si sente a casa. Ed è anche questa una bella storia di passione.