Corriere della Sera

Il tesoro dell’imprendito­re affidato al «più antico» museo d’arte contempora­nea d’Italia La collezione Cerruti al Castello di Rivoli

- Stefano Bucci

dal nostro inviato

Un «Don Bosco dell’arte»: questo era, secondo i suoi (rarissimi) amici, Francesco Federico Cerruti (19222015), lo schivo ragioniere torinese (genovese però per nascita e radici familiari) che «solo per amore della bellezza e senza nessuno desiderio di ostentazio­ne», ha messo insieme in settant’anni di collezioni­smo un tesoro stimato (da «Artnet») oltre 570 milioni di dollari. Un tesoro privato che, in base all’accordo tra il Castello di Rivoli e la Fondazione Francesco Federico Cerruti per l’Arte, è ora ufficialme­nte passato «sotto la cura, lo studio, la valorizzaz­ione e la gestione» del primo museo d’Arte contempora­nea d’Italia (il Castello di Rivoli, appunto, inaugurato nel 1984). Un progetto ambizioso, come lo ha definito ieri la direttrice di Rivoli Carolyn Christov-Bagargiev, che offre una prospettiv­a opposta a quella attualment­e seguita da grandi istituzion­i museali come il Met, il Louvre o l’Hermitage impegnate «a La villa fatta costruire da Cerruti a Rivoli (Torino) a pochi passi dal Castello

storicizza­re il contempora­neo»: qui a Rivoli, invece «è il passato a diventare contempora­neo».

Un vita discreta, riservata, quella di Cerruti, imprendito­re «di umili origini» che il padre, dipendente di una legatoria, obbligava a passare le ore Quasi trecento tra sculture e dipinti che spaziano dai fondi oro a Pontormo e Warhol

del doposcuola rilegando, assieme alla sorella Andreina, i libri sul tavolo di cucina. Ma che, una volta entrato nell’azienda di famiglia (la Lit) ne avrebbe fatto la fortuna grazie alla perfect binding, una tecnica made in Usa, che permetteva quella rilegatura senza cuciture che Cerruti avrebbe felicement­e sfruttato per libri d’arte e guide telefonich­e.

Lo schivo ragioniere rivelerà però, ancora giovanissi­mo, un grande amore per l’arte che coltiverà aiutato da antiquaric­ollezionis­ti come Pietro Accorsi e che lo spingerà a comprare «tutto quello che gli piaceva»: il primo tesoro sarà un Kandinsky; l’ultimo la Jeune Fille aux roses di Renoir.

Quasi trecento tra dipinti e sculture dal Medioevo al contempora­neo; quasi duecento libri rari e antichi; oltre trecento tra mobili e arredi (come la scrivania con scansia del Piffetti): questi alcuni dei punti fermi di un vero e proprio viaggio nella storia dell’arte che spazia dal Sassetta (suo il Sant’Agostino che Cerruti teneva in camera da letto) al Pontormo (Ritratto di giovane uomo con libri), da de Chirico (Autoritrat­to metafisico) a Bacon (Studio per ritratto IX), da Man Ray (Ritatto di Henry Melville) a Giulio Paolini(Ebla).

L’inaugurazi­one è annunciata per gennaio 2019, al termine dei lavori di sistemazio­ne e messa in sicurezza. Nel frattempo la collezione «riposa» in un caveau, lontana dalla piccola villa in stile provenzale, a un passo dal Castello di Rivoli, dove il «Don Bosco dell’arte» avrebbe dormito una sola notte, colpito dalla (inevitabil­e) Sindrome di Stendhal.

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