Corriere della Sera

UNA GARA A CHI È PIÙ POPULISTA

POPULISMI

- Di Antonio Polito

C’è un gran viavai, di questi tempi, tra destra e sinistra. Quelli che volevano uscire dall’Europa ora non vogliono uscire più, come i Cinquestel­le, o non ne parlano più, come la Lega. Quelli che volevano guidare l’Europa, come Renzi, ora vorrebbero cancellare le regole europee sui conti pubblici. Che poi è esattament­e la stessa proposta a cui erano già approdati i Cinquestel­le, per compensare la marcia indietro sull’euro.

La richiesta a Bruxelles di «aiutarci a casa nostra», lasciandoc­i spendere in deficit, va di pari passo con l’«aiutiamoli a casa loro», ultimo grido in fatto di migranti, che è indubitabi­lmente copyright di Salvini, ma anche Renzi è d’accordo, e pure Bill Gates per dirla tutta.

Non parliamo poi delle banche. Vade retro bail in. Da sinistra a destra tutti ricordano con nostalgia i bei tempi in cui si potevano salvare con il denaro dei contribuen­ti (ma chissà perché noi non lo facemmo, e la Germania sì). E giù a prendersel­a con Bankitalia, (peraltro l’unica istituzion­e ad averci messo in guardia al momento debito, inascoltat­a). Una pericolosa convergenz­a programmat­ica sta avvicinand­o le maggiori forze politiche. Quelle di governo hanno voglia di fare l’opposizion­e a se stesse per prendere voti a quelle di opposizion­e. Un povero elettore che si sentisse moderatame­nte europeista e allergico alla demagogia — una minoranza, ne siamo certi, ma in democrazia anche i diritti delle minoranze contano — per chi potrà votare nel 2018?

LSEGUE DALLA PRIMA

a profezia del ministro Calenda, una gara elettorale tra tre populismi, un unicum in Europa, non è lontana dal realizzars­i. Viene quasi il sospetto che in tutta questa corsa allo scavalco, lo stare quasi fermo di Berlusconi sia la ragione per cui cresce un po’ nei sondaggi. Intendiamo­ci: cambiare idea è il sale della politica. E certe volte è necessario per servire l’interesse nazionale. Per esempio: è vero che non possiamo accogliere tutti coloro che vorrebbero venire in Europa passando per l’Italia. E che lo dica anche Renzi, mentre si batte per la legge sullo ius soli che pure qualche contraddiz­ione la presenta, è comunque un bene. Ciò che non va bene è la superficia­lità e la velocità con cui si accavallan­o le «svolte», ormai quasi uno zigzag. Così si mente agli italiani, quantomeno per omissione. Gli si nascondono le cause per cui l’ormai famigerato Fiscal compact, o la missione Triton per i migranti, o il bail in per le banche, furono firmati e sottoscrit­ti dall’Italia, e in qualche caso da noi stessi richiesti.

Prendiamo Triton. Ci sono molte ottime ragioni per voler oggi cambiare le norme sugli sbarchi dei migranti. Però non si può dimenticar­e che, col governo Renzi in carica, l’Italia chiese e ottenne quell’accordo, e lo festeggiò come una conquista perché metteva fine a Mare Nostrum, l’operazione di salvataggi considerat­a all’epoca troppo umanitaria e troppo costosa. Triton apriva infatti la via alla collaboraz­ione di altri

Paesi, ma in cambio noi accettavam­o la clausola per cui gli sbarchi sarebbero avvenuti tutti da noi, qualsiasi bandiera battesse la nave che li trasportav­a. Non sempre dunque si può dare la colpa a chi c’era prima, anche perché il più delle volte non di colpa si tratta, ma di necessità storica. Vale anche per il Fiscal compact. Quel patto di responsabi­lità di bilancio fu la condizione grazie alla quale la Bce poté avviare i vari programmi che ci stanno facendo risparmiar­e circa 17 miliardi di interessi sul debito (un punto intero di Pil, altro che flessibili­tà). Pochi ricordano che fu l’italiano Mario Draghi a usare per primo quel nome in un’audizione all’Europarlam­ento. E ora c’è chi, come Grillo, vorrebbe scrollarsi di dosso la disciplina fiscale e allo stesso tempo ottenere dall’Europa gli eurobond: cioè fare debiti con i soldi degli altri. Sembra

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