UNA GARA A CHI È PIÙ POPULISTA
POPULISMI
C’è un gran viavai, di questi tempi, tra destra e sinistra. Quelli che volevano uscire dall’Europa ora non vogliono uscire più, come i Cinquestelle, o non ne parlano più, come la Lega. Quelli che volevano guidare l’Europa, come Renzi, ora vorrebbero cancellare le regole europee sui conti pubblici. Che poi è esattamente la stessa proposta a cui erano già approdati i Cinquestelle, per compensare la marcia indietro sull’euro.
La richiesta a Bruxelles di «aiutarci a casa nostra», lasciandoci spendere in deficit, va di pari passo con l’«aiutiamoli a casa loro», ultimo grido in fatto di migranti, che è indubitabilmente copyright di Salvini, ma anche Renzi è d’accordo, e pure Bill Gates per dirla tutta.
Non parliamo poi delle banche. Vade retro bail in. Da sinistra a destra tutti ricordano con nostalgia i bei tempi in cui si potevano salvare con il denaro dei contribuenti (ma chissà perché noi non lo facemmo, e la Germania sì). E giù a prendersela con Bankitalia, (peraltro l’unica istituzione ad averci messo in guardia al momento debito, inascoltata). Una pericolosa convergenza programmatica sta avvicinando le maggiori forze politiche. Quelle di governo hanno voglia di fare l’opposizione a se stesse per prendere voti a quelle di opposizione. Un povero elettore che si sentisse moderatamente europeista e allergico alla demagogia — una minoranza, ne siamo certi, ma in democrazia anche i diritti delle minoranze contano — per chi potrà votare nel 2018?
LSEGUE DALLA PRIMA
a profezia del ministro Calenda, una gara elettorale tra tre populismi, un unicum in Europa, non è lontana dal realizzarsi. Viene quasi il sospetto che in tutta questa corsa allo scavalco, lo stare quasi fermo di Berlusconi sia la ragione per cui cresce un po’ nei sondaggi. Intendiamoci: cambiare idea è il sale della politica. E certe volte è necessario per servire l’interesse nazionale. Per esempio: è vero che non possiamo accogliere tutti coloro che vorrebbero venire in Europa passando per l’Italia. E che lo dica anche Renzi, mentre si batte per la legge sullo ius soli che pure qualche contraddizione la presenta, è comunque un bene. Ciò che non va bene è la superficialità e la velocità con cui si accavallano le «svolte», ormai quasi uno zigzag. Così si mente agli italiani, quantomeno per omissione. Gli si nascondono le cause per cui l’ormai famigerato Fiscal compact, o la missione Triton per i migranti, o il bail in per le banche, furono firmati e sottoscritti dall’Italia, e in qualche caso da noi stessi richiesti.
Prendiamo Triton. Ci sono molte ottime ragioni per voler oggi cambiare le norme sugli sbarchi dei migranti. Però non si può dimenticare che, col governo Renzi in carica, l’Italia chiese e ottenne quell’accordo, e lo festeggiò come una conquista perché metteva fine a Mare Nostrum, l’operazione di salvataggi considerata all’epoca troppo umanitaria e troppo costosa. Triton apriva infatti la via alla collaborazione di altri
Paesi, ma in cambio noi accettavamo la clausola per cui gli sbarchi sarebbero avvenuti tutti da noi, qualsiasi bandiera battesse la nave che li trasportava. Non sempre dunque si può dare la colpa a chi c’era prima, anche perché il più delle volte non di colpa si tratta, ma di necessità storica. Vale anche per il Fiscal compact. Quel patto di responsabilità di bilancio fu la condizione grazie alla quale la Bce poté avviare i vari programmi che ci stanno facendo risparmiare circa 17 miliardi di interessi sul debito (un punto intero di Pil, altro che flessibilità). Pochi ricordano che fu l’italiano Mario Draghi a usare per primo quel nome in un’audizione all’Europarlamento. E ora c’è chi, come Grillo, vorrebbe scrollarsi di dosso la disciplina fiscale e allo stesso tempo ottenere dall’Europa gli eurobond: cioè fare debiti con i soldi degli altri. Sembra