Roghi in Sicilia I turisti in fuga con le barche
In Sicilia nuova emergenza a San Vito Lo Capo. La fuga verso il mare, poi i soccorsi. Aperte tre inchieste
Prosegue l’emergenza incendi nelle regioni del Sud. Un rogo scoppiato a San Vito Lo Capo, nel Trapanese, ha costretto ottocento persone a lasciare il resort turistico dove si trovavano a bordo di barche e pescherecci. Resta critica poi la situazione anche nel Parco del Vesuvio dove, per scongiurare il rischio che i tre focolai si uniscano, è stato messo in campo anche l’esercito. Al Corriere della Sera, il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti spiega che dietro a questa situazione potrebbe esserci la criminalità organizzata. Una ipotesi sulla quale sono al lavoro anche gli inquirenti campani: gli incendi sarebbero un tentativo di delegittimare il governo del territorio e difendere i proprietari delle abitazioni abusive.
Sono scappati quasi in 800 dal mare afferrando lo stretto necessario per scansare le fiamme che circondavano il loro albergo, il Calampiso, l’ultimo costone dopo San Vito Lo Capo affiancato alla riserva dello Zingaro.
Un paradiso trasformato in un inferno. Sotto lingue infiammate che divoravano abeti riducendoli a tozzi anneriti, il panico ha sconvolto la quiete delle vacanze su questa stupenda punta trapanese dell’isola. Con intere famiglie imbarcate su gommoni, pescherecci e catamarani verso il paese, verso una scuola dove bivaccare e rasserenare i bimbi terrorizzati.
Immagine devastante di una Sicilia dove sono stati calcolati da Messina a Siracusa, da Enna a Palermo e Trapani 125 focolai attivi, troppi per fare pensare al combustione spontanea. I magistrati di tre procure aprono infatti inchieste a caccia di piromani che approfittano del sole a 40 gradi per alimentare il fuoco e la sfida a Stato e Regione. Un contropiede dove ci sarebbe la mano dei clan mafiosi, stando al presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci, scampato l’anno scorso ad un attentato e adesso convinto della strategia: «C’è la mano dei boss ai quali abbiamo tolto il dominio di terre demaniali occupate senza titolo. Bisogna dargli la caccia con i carabinieri, con i “Cacciatori di Sicilia”».
Sfoghi e reazioni, scontri politici con il governo regionale nel mirino, si accavallavano ieri sera quando ancora sulla montagna di San Vito Lo Capo e sulle oasi dello Zingaro faceva avanti indietro un Canadair che infine sembra aver placato le fiamme. Ma è stata un’intera giornata di terrore. Soprattutto nell’albergo con le camere incollate sul costone di Calampiso. A mezzogiorno i primi timori, come racconta Teresa Orlando, una professoressa di
matematica in vacanza con marito, figlio e due nipotini: «Eravamo giù al mare in una giornata rovente, con i monti in fiamme e un aereo che faceva avanti indietro con i suoi carichi d’acqua. Un’ora dopo sembrava tutto passato. Siamo saliti in camera con i bimbi...».
Ma intorno alle 14 il vento muta direzione. Anziché soffiare sulla montagna, si mette a sbuffare nuvole di aria infuocata verso il mare alimentando fuocherelli apparentemente domati. Le fiamme si rinvigoriscono e i ragazzi dello staff s’arrampicano correndo per i vialetti, invitando tutti ad uscire fuori, a portare solo uno zaino, a correre in spiaggia, fra gli scogli, sull’attracco delle barche. E a centinaia, mettendo in borsa lo stretto necessario, i soldi, il cellulare, i biberon dei neonati e poco altro volano giù. Pochi minuti e sullo specchio di mare accanto allo Zingaro si materializzano decine e decine di imbarcazioni, quelle per le gite turistiche, le motovedette della Capitaneria, i pescherecci, i catamarani, i gommoni dei turisti, tutti pronti a raccogliere l’appello lanciato via radio e sui social e dal sindaco Matteo Rizzo.
Impossibile il rientro in albergo per la notte. Troppo rischioso. Molti, raggiunti da familiari che abitano in Sicilia, si sono allontanati verso zone più sicure. Ma in centinaia si sono dovuti arrangiare, alcuni accampati a scuola, in una San vito già strapiena. È il sacrificio di una brutta pagina con polemiche su mancanza di mezzi adeguati e insufficienza del corpo forestale.