Corriere della Sera

Cena a casa di Berlusconi e Boccia chiamò D’Alema Così è nato l’asse sul Colle

Il leader pd stoppò l’intesa alleandosi con Bersani

- Tommaso Labate

ROMA «Il patto del Nazareno fu rotto da Berlusconi, non da Renzi. Proprio perché fu Silvio a tentare di fregare Matteo sull’elezione del presidente della Repubblica con l’aiuto di qualcuno. E questo lo sanno tutti, anche Gianni Letta...». Sono più di due anni che Denis Verdini, ogni volta che si trova di fronte a un interlocut­ore che gli è particolar­mente simpatico, racconta i momenti più caldi del gennaio 2015, quando l’accordo sulle riforme tra Pd e Forza Italia naufragò lasciando dietro di sé un oceano di macerie. Su quel «qualcuno», da ventiquatt­r’ore, sono caduti tutti gli «omissis». Era Massimo D’Alema, così scrive Renzi nel suo libro Avanti, l’uomo con cui Berlusconi provò a tessere quella tela che avrebbe dovuto portare al Quirinale Giuliano Amato e non Sergio Mattarella.

Quello che il leader del Pd non poteva sapere nei dettagli, o che comunque non ha riportato nel suo libro, rimanda al modo in cui i due avversari storici della Seconda Repubblica — Berlusconi e D’Alema — avevano trovato un candidato comune che rompesse lo schema che Renzi aveva disegnato per arrivare all’elezione di Mattarella.

È la sera 27 gennaio 2015. Mancano poche ore al momento in cui il leader forzista è atteso a Palazzo Chigi dall’allora premier per le consultazi­oni. Diversi testimoni oculari, a distanza di due anni, ricordano nitidament­e quello che successe durante la cena in corso a Palazzo Grazioli. Tra gli ospiti ci sono Nunzia De Girolamo e Francesco Boccia. A un certo punto, come se si trattasse di un canovaccio già studiato, la parlamenta­re di Forza Italia si rivolge al marito, deputato del Pd. «Francesco, chiamiamo D’Alema».

Il tempo dei convenevol­i del caso e il telefonino di Boccia passa nelle mani di Berlusconi. Durante la conversazi­one, e le versioni dei presenti collimano con la ricostruzi­one fatta da Renzi in Avanti, viene fuori che la minoranza pd è pronta a spingere sulla candidatur­a di Amato ed è alla ricerca di sponde. «Amato va bene anche a noi», è la risposta del Cavaliere.

La trattativa, nelle intenzioni del tandem Berlusconi­D’Alema, deve rimanere riservata. Ci sono diversi passaggi ancora da compiere e l’indomani, secondo lo schema dei supporters di Amato, deve essere una giornata interlocut­oria, votata al tatticismo e alla prudenza.

Ma quando poche ore dopo Berlusconi si trova di fronte a Renzi, a Palazzo Chigi, quest’ultimo sa già tutto. «Dimmi la verità. Hai sentito D’Alema?», è la frase con cui — secondo diversi testimoni — l’allora premier apre le danze. «Be’, sentito... Me l’hanno passato un attimo al telefono», ribatte Berlusconi. Che poi, convinto che la strada della candidatur­a di Amato sia già in discesa, vuota il sacco: «Comunque la minoranza del Pd va su Amato. E anche noi faremo la stessa scelta».

Renzi non la prende bene. E l’incontro con Berlusconi del 28 gennaio 2015, come ha scritto nel suo libro, sarà l’ultimo di quella lunga serie che si era aperta un anno e dieci giorni prima al Nazareno. Per rovesciare la situazione a suo favore, l’ex premier risponderà all’asse pro-Amato stringendo un patto con Pier Luigi Bersani, che schiererà le truppe parlamenta­ri della minoranza pd su Mattarella. Che poi, ironia della sorte, sarà — a conti fatti — il presidente della Repubblica con cui l’uomo di Arcore avvierà il disgelo tra Forza Italia e il Quirinale, cancelland­o le ruggini che si erano create con la presidenza di Napolitano.

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