Cena a casa di Berlusconi e Boccia chiamò D’Alema Così è nato l’asse sul Colle
Il leader pd stoppò l’intesa alleandosi con Bersani
ROMA «Il patto del Nazareno fu rotto da Berlusconi, non da Renzi. Proprio perché fu Silvio a tentare di fregare Matteo sull’elezione del presidente della Repubblica con l’aiuto di qualcuno. E questo lo sanno tutti, anche Gianni Letta...». Sono più di due anni che Denis Verdini, ogni volta che si trova di fronte a un interlocutore che gli è particolarmente simpatico, racconta i momenti più caldi del gennaio 2015, quando l’accordo sulle riforme tra Pd e Forza Italia naufragò lasciando dietro di sé un oceano di macerie. Su quel «qualcuno», da ventiquattr’ore, sono caduti tutti gli «omissis». Era Massimo D’Alema, così scrive Renzi nel suo libro Avanti, l’uomo con cui Berlusconi provò a tessere quella tela che avrebbe dovuto portare al Quirinale Giuliano Amato e non Sergio Mattarella.
Quello che il leader del Pd non poteva sapere nei dettagli, o che comunque non ha riportato nel suo libro, rimanda al modo in cui i due avversari storici della Seconda Repubblica — Berlusconi e D’Alema — avevano trovato un candidato comune che rompesse lo schema che Renzi aveva disegnato per arrivare all’elezione di Mattarella.
È la sera 27 gennaio 2015. Mancano poche ore al momento in cui il leader forzista è atteso a Palazzo Chigi dall’allora premier per le consultazioni. Diversi testimoni oculari, a distanza di due anni, ricordano nitidamente quello che successe durante la cena in corso a Palazzo Grazioli. Tra gli ospiti ci sono Nunzia De Girolamo e Francesco Boccia. A un certo punto, come se si trattasse di un canovaccio già studiato, la parlamentare di Forza Italia si rivolge al marito, deputato del Pd. «Francesco, chiamiamo D’Alema».
Il tempo dei convenevoli del caso e il telefonino di Boccia passa nelle mani di Berlusconi. Durante la conversazione, e le versioni dei presenti collimano con la ricostruzione fatta da Renzi in Avanti, viene fuori che la minoranza pd è pronta a spingere sulla candidatura di Amato ed è alla ricerca di sponde. «Amato va bene anche a noi», è la risposta del Cavaliere.
La trattativa, nelle intenzioni del tandem BerlusconiD’Alema, deve rimanere riservata. Ci sono diversi passaggi ancora da compiere e l’indomani, secondo lo schema dei supporters di Amato, deve essere una giornata interlocutoria, votata al tatticismo e alla prudenza.
Ma quando poche ore dopo Berlusconi si trova di fronte a Renzi, a Palazzo Chigi, quest’ultimo sa già tutto. «Dimmi la verità. Hai sentito D’Alema?», è la frase con cui — secondo diversi testimoni — l’allora premier apre le danze. «Be’, sentito... Me l’hanno passato un attimo al telefono», ribatte Berlusconi. Che poi, convinto che la strada della candidatura di Amato sia già in discesa, vuota il sacco: «Comunque la minoranza del Pd va su Amato. E anche noi faremo la stessa scelta».
Renzi non la prende bene. E l’incontro con Berlusconi del 28 gennaio 2015, come ha scritto nel suo libro, sarà l’ultimo di quella lunga serie che si era aperta un anno e dieci giorni prima al Nazareno. Per rovesciare la situazione a suo favore, l’ex premier risponderà all’asse pro-Amato stringendo un patto con Pier Luigi Bersani, che schiererà le truppe parlamentari della minoranza pd su Mattarella. Che poi, ironia della sorte, sarà — a conti fatti — il presidente della Repubblica con cui l’uomo di Arcore avvierà il disgelo tra Forza Italia e il Quirinale, cancellando le ruggini che si erano create con la presidenza di Napolitano.