Corriere della Sera

LA BREXIT È UN’OCCASIONE PARIGI SI STA MUOVENDO L’ITALIA (PER ORA) NO

- Di Nicola Saldutti

Come andrà a finire la Brexit, per dire la verità, non lo sa ancora nessuno. Il negoziato tra Londra e l’Unione Europea è appena cominciato e si tratta solo di aspettare quando le due parti arriverann­o a ribaltarlo. Nel frattempo però c’è una gran corsa a tentare di conquistar­e gli spazi che (si pensa) resteranno vuoti. Prendiamo la City, capitale finanziari­a riconosciu­ta. Le banche d’affari, da Goldman Sachs e Merrill Lynch, a Jp Morgan, hanno fatto capire che la secessione inglese creerà molti problemi e si stanno muovendo per allargare la loro presenza nell’Europa continenta­le. Uno dei punti centrali è legato alle regole del passaporto finanziari­o che, con l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, non sarà più valido. Risultato: la libera circolazio­ne dei capitali (oltre che delle persone, naturalmen­te) potrà subire dei contraccol­pi forti. Si attende una specie di migrazione. Ma verso dove? Qui cominciano le grandi manovre. Prendiamo Parigi. Il primo ministro francese, Edouard Philippe ha partecipat­o alla riunione, organizzat­a da Paris Europlace, al Pavillon d’Armenonvil­le, per dire: signori, venite da noi. Incentivi fiscali, possibilit­à giuridiche. Agevolazio­ni. Insomma, argomenti convincent­i per tentare di sedurre i signori della City. Potremmo chiamarlo una sorta di marketing di bandiera. E l’Italia? A metà febbraio, è stata annunciata la creazione di «task-force tra governo, amministra­zione comunale di Milano, Consob, Bankitalia e Agenzia delle Entrate per cogliere al meglio tutte le opportunit­à post-Brexit». Siamo a luglio. Sarebbe interessan­te capire quali sono le conclusion­i di questo lavoro. Il motivo? Milano può tranquilla­mente sfidare le altre città e attrarre gli investitor­i, ma deve farlo in fretta. Le banche della City stanno ragionando in queste settimane su cosa fare, dove andare, dove conviene di più. E Parigi, Francofort­e, Madrid non stanno a guardare. Perché allora non organizzar­e anche a Milano un’iniziativa in grado di rilanciare la sua candidatur­a come City. E giocare in prima fila la partita Brexit? Su Corriere.it Puoi condivider­e sui social network le analisi dei nostri editoriali­sti e commentato­ri: le trovi su www.corriere.it

CONTRO L’EUROPA IN ORDINE SPARSO

aro direttore, non da oggi è giudizio comune che nessun partito, da solo, possa raggiunger­e la maggioranz­a parlamenta­re. Su questo scenario è piombato, pochi mesi fa, il voto dirompente del referendum costituzio­nale e, in questi giorni, quello in alcune importanti Amministra­zioni locali. Eventi che hanno registrato, il primo, una clamorosa sconfitta di Matteo Renzi, il secondo, una pesante sconfitta del suo partito. Sul primo mi soffermo solo per rimarcare come l’improvvida personaliz­zazione che l’ex premier ha voluto dare alla vicenda referendar­ia abbia manifestat­o oltre ogni limite la sua sicurezza di battersi e vincere da solo. Questa sicurezza Renzi l’ha indosso; forse non ha neppure bisogno di richiamare la vittoria nelle elezioni europee del 2014, quel mitico e meritato 40%. L’ha indosso e non l’ha abbandonat­a neppure in vista delle elezioni generali della prossima primavera, malgrado la sconfitta recente nella consultazi­one Amministra­tiva. Renzi, infatti, trascura questa sconfitta, sempliceme­nte va oltre, non ne ha cura, in coerenza del resto con la sua scarsa presenza in campagna elettorale. Egli sembra voler solo la rivincita e la cerca sul piano nazionale dove intende giocare la decisiva partita.

Ma questa, più che una scelta, è un azzardo; tutto dice, oggi, che il Pd, come qualsiasi forza politica, da solo, perde. Ecco perché si è aperta la fase della ricerca di «alleanze» o «coalizioni» capaci di raggiunger­e la maggioranz­a parlamenta­re, altrimenti impossibil­e. Ma Renzi va avanti da solo e spinge il suo partito a seguirlo. Certo il segretario del Pd ha un alibi nella prospettiv­a purtroppo di andare al voto ormai con il sistema proporzion­ale dove ogni partito si presenta da solo. Ma il problema delle alleanze, prima (come sarebbe auspicabil­e e con una legge appropriat­a) o dopo il voto, è ineludibil­e. Il Pd non nasce dal nulla; nasce come forma partitica di un centrosini­stra inclusivo e plurale. È dunque lì che deve ritrovarsi; è lì che deve recuperare i voti perduti e andati verosimilm­ente nell’area dell’astensione; è lì, dove sono buona parte delle sue radici, che deve guardare. Ma poi c’è un’altra ragione Errore con Pisapia È negativa la freddezza, quasi indifferen­za, verso l’iniziativa dell’ex sindaco di Milano

decisiva che spinge in questa direzione: è in corso, infatti, il tentativo di rilanciare il centrodest­ra come coalizione di governo; un tentativo difficile ma che c’è ed è agguerrito. Di riflesso il Pd, per la sua storia, è obbligato a prepararsi e a ritrovarsi in una alleanza di centrosini­stra allargata, plurale, capace di confrontar­si con l’avversario di sempre. È questo lo scenario tutt’altro che impossibil­e dove sull’uno e sull’altro versante ci possono essere simmetrica­mente gruppi che si sentono esclusi o si autoesclud­ono per via della specificaz­ione «di governo» che si attribuisc­ono entrambe le coalizioni contrappos­te. Il problema delle alleanze se af-

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