LA BREXIT È UN’OCCASIONE PARIGI SI STA MUOVENDO L’ITALIA (PER ORA) NO
Come andrà a finire la Brexit, per dire la verità, non lo sa ancora nessuno. Il negoziato tra Londra e l’Unione Europea è appena cominciato e si tratta solo di aspettare quando le due parti arriveranno a ribaltarlo. Nel frattempo però c’è una gran corsa a tentare di conquistare gli spazi che (si pensa) resteranno vuoti. Prendiamo la City, capitale finanziaria riconosciuta. Le banche d’affari, da Goldman Sachs e Merrill Lynch, a Jp Morgan, hanno fatto capire che la secessione inglese creerà molti problemi e si stanno muovendo per allargare la loro presenza nell’Europa continentale. Uno dei punti centrali è legato alle regole del passaporto finanziario che, con l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, non sarà più valido. Risultato: la libera circolazione dei capitali (oltre che delle persone, naturalmente) potrà subire dei contraccolpi forti. Si attende una specie di migrazione. Ma verso dove? Qui cominciano le grandi manovre. Prendiamo Parigi. Il primo ministro francese, Edouard Philippe ha partecipato alla riunione, organizzata da Paris Europlace, al Pavillon d’Armenonville, per dire: signori, venite da noi. Incentivi fiscali, possibilità giuridiche. Agevolazioni. Insomma, argomenti convincenti per tentare di sedurre i signori della City. Potremmo chiamarlo una sorta di marketing di bandiera. E l’Italia? A metà febbraio, è stata annunciata la creazione di «task-force tra governo, amministrazione comunale di Milano, Consob, Bankitalia e Agenzia delle Entrate per cogliere al meglio tutte le opportunità post-Brexit». Siamo a luglio. Sarebbe interessante capire quali sono le conclusioni di questo lavoro. Il motivo? Milano può tranquillamente sfidare le altre città e attrarre gli investitori, ma deve farlo in fretta. Le banche della City stanno ragionando in queste settimane su cosa fare, dove andare, dove conviene di più. E Parigi, Francoforte, Madrid non stanno a guardare. Perché allora non organizzare anche a Milano un’iniziativa in grado di rilanciare la sua candidatura come City. E giocare in prima fila la partita Brexit? Su Corriere.it Puoi condividere sui social network le analisi dei nostri editorialisti e commentatori: le trovi su www.corriere.it
CONTRO L’EUROPA IN ORDINE SPARSO
aro direttore, non da oggi è giudizio comune che nessun partito, da solo, possa raggiungere la maggioranza parlamentare. Su questo scenario è piombato, pochi mesi fa, il voto dirompente del referendum costituzionale e, in questi giorni, quello in alcune importanti Amministrazioni locali. Eventi che hanno registrato, il primo, una clamorosa sconfitta di Matteo Renzi, il secondo, una pesante sconfitta del suo partito. Sul primo mi soffermo solo per rimarcare come l’improvvida personalizzazione che l’ex premier ha voluto dare alla vicenda referendaria abbia manifestato oltre ogni limite la sua sicurezza di battersi e vincere da solo. Questa sicurezza Renzi l’ha indosso; forse non ha neppure bisogno di richiamare la vittoria nelle elezioni europee del 2014, quel mitico e meritato 40%. L’ha indosso e non l’ha abbandonata neppure in vista delle elezioni generali della prossima primavera, malgrado la sconfitta recente nella consultazione Amministrativa. Renzi, infatti, trascura questa sconfitta, semplicemente va oltre, non ne ha cura, in coerenza del resto con la sua scarsa presenza in campagna elettorale. Egli sembra voler solo la rivincita e la cerca sul piano nazionale dove intende giocare la decisiva partita.
Ma questa, più che una scelta, è un azzardo; tutto dice, oggi, che il Pd, come qualsiasi forza politica, da solo, perde. Ecco perché si è aperta la fase della ricerca di «alleanze» o «coalizioni» capaci di raggiungere la maggioranza parlamentare, altrimenti impossibile. Ma Renzi va avanti da solo e spinge il suo partito a seguirlo. Certo il segretario del Pd ha un alibi nella prospettiva purtroppo di andare al voto ormai con il sistema proporzionale dove ogni partito si presenta da solo. Ma il problema delle alleanze, prima (come sarebbe auspicabile e con una legge appropriata) o dopo il voto, è ineludibile. Il Pd non nasce dal nulla; nasce come forma partitica di un centrosinistra inclusivo e plurale. È dunque lì che deve ritrovarsi; è lì che deve recuperare i voti perduti e andati verosimilmente nell’area dell’astensione; è lì, dove sono buona parte delle sue radici, che deve guardare. Ma poi c’è un’altra ragione Errore con Pisapia È negativa la freddezza, quasi indifferenza, verso l’iniziativa dell’ex sindaco di Milano
decisiva che spinge in questa direzione: è in corso, infatti, il tentativo di rilanciare il centrodestra come coalizione di governo; un tentativo difficile ma che c’è ed è agguerrito. Di riflesso il Pd, per la sua storia, è obbligato a prepararsi e a ritrovarsi in una alleanza di centrosinistra allargata, plurale, capace di confrontarsi con l’avversario di sempre. È questo lo scenario tutt’altro che impossibile dove sull’uno e sull’altro versante ci possono essere simmetricamente gruppi che si sentono esclusi o si autoescludono per via della specificazione «di governo» che si attribuiscono entrambe le coalizioni contrapposte. Il problema delle alleanze se af-