I venti finalisti del «Cairo», riconoscimento dedicato agli emergenti «L’opera d’arte in primo piano» Il premio alla creatività under 40
Inomi dei (20) finalisti sono arrivati ieri: Dimitri Agnello (1995), Meris Angioletti (1977), Ludovico Bomben (1982), Giuseppe Buffoli (1979), Tiziano Doria (1979), El Gato Chimney (1981), Christian Fogarolli (1983), Monica Mazzone (1984), Matteo Negri (1984), Maria Teresa Ortoleva (1990), Ettore Pinelli (1984), Michael Rotondi (1977), Matteo Rubbi (1980), Manuel Scano Larrazábal (1981), Caterina Erica Shanta (1986), Pietro Spirito (1981), Kristian Sturi (1983), Patrick Tabarelli (1979), Serena Vestrucci (1986), Giulio Zanet (1984). Tutti rigorosamente artisti under 40, tutti in concorso «con un’opera originale e inedita» che sarà valutata da una giuria «d’eccellenza» composta da direttori di musei, fondazioni d’arte contemporanea e critici (le opere saranno svelate solo la sera della premiazione, il 23 ottobre, a Milano, a Palazzo Reale).
Quella proposta dal 18esimo «Premio Cairo» è una sorta di geografia ideale della creatività emergente italiana (under 40 appunto), una geografia tracciata dalla redazione di «Arte», la rivista leader di settore diretta da Michele Bonuomo («Il nostro è un osservatorio privilegiato, perché oltretutto quotidiano») a cui è stato affidato il compito di scegliere i finalisti. Al vincitore andrà un premio di 25 mila euro e la copertina del mensile «Arte». Secondo tradizione le 20 opere finaliste e le vincitrici delle passate edizioni saranno poi in mostra a Palazzo Reale (dal 24 ottobre al 1º novembre, ingresso gratuito).
In superfice la storia del «Premio Cairo» appare vicina a quella del britannico «Turner Prize» (dedicato invece agli under 50 e da cui sono usciti Anish Kapoor, Damien Hirst e Elizabeth Price): «Ma il “Turner” è più una consacrazione Francesco Arena (1978), Orizzonte (2012-2017, in mostra a Art Basel): Arena è stato tra i partecipanti del «Premio Cairo»
definitiva di artisti già noti, il “Cairo” è un’opportunità reale per farsi conoscere». A proposito di differenze, Buonomo tiene a precisare: «Il nostro è uno dei pochi riconoscimenti assegnati all’opera e non all’artista, per questo ci sentiamo più indipendenti». E ancora: «È arrivato il momento di riportare in primo piano l’opera d’arte, piuttosto che l’idea, non importa quale tecnica venga utilizzata, sia che si tratti di marmo di Carrara o di qualcosa di estremamente concettuale, quello che conta è che sia un’opera conclusa, definita, leggibile anche nel futuro».
Tutto inizia, per il «Premio Cairo», nel 2000, con la volontà di Urbano Cairo (presidente di Rcs Media Group) «di sostenere gli artisti emergenti e di Le opere, «originali e inedite», saranno valutate da una giuria d’eccellenza
offrire loro un vero e proprio trampolino di lancio». Nelle 17 edizioni precedenti «il premio ha così dato una concreta opportunità ai giovani di farsi conoscere nel mondo dell’arte contemporanea a livello nazionale e internazionale. Non a caso, quarantuno di questi artisti sono stati poi invitati alla Biennale di Venezia: nell’edizione di quest’anno, curata da Christine Macel, tra i protagonisti c’è così Salvatore Arancio, mentre dal «Premio Cairo» arriva Francesco Arena «al centro» della sezione Unlimited di Art Basel 2017.
E sempre dall’elenco dei vincitori del «Cairo» arrivano personaggi ormai consolidati del panorama artistico internazionale come Luca Pignatelli, Bernardo Siciliano, Federico Guida, Matteo Bergamasco,
Fausto Gilberti, Masbedo, Laura Pugno, Fabio Viale, Alessandro Piangiamore. Indicativa, in questo senso, anche la storia del vincitore della scorsa edizione, Paolo Bini con i suoi Luoghi del sé. Per lui (classe 1984) sarebbe poi venuta la mostra (Left Behind) curata da Luca Beatrice negli appartamenti della Reggia di Caserta, una serie di installazioni sitespecific in cui i coloratissimi monocromi in acrilico, «caratteristici» della produzione di Bini, dialogavano con gli allestimenti delle quadrerie borboniche.
«Quando comprai la Giorgio Mondadori, il direttore di “Arte” di allora mi propose di organizzare una mostra di giovani artisti — racconta Cairo —. L’idea di dare una mano ai giovani mi piacque e siamo partiti immediatamente. Non avevamo esperienza, ma in compenso avevamo tanto entusiasmo. Quello che è successo nelle edizioni successive mi ha fatto decidere di investire per farla crescere. E ho fatto bene».
«Il Turner è una consacrazione, mentre noi diamo l’opportunità di farsi conoscere»