Corriere della Sera

I Laibach: «Il nostro rock nell’estetica dei totalitari­smi»

- di Giuseppina Manin

Fascisti o comunisti? Provocator­i o rivoluzion­ari? Ogni domanda è aperta con i Laibach, band slovena tra le più controvers­e e singolari, da 35 anni spina nel fianco del panorama musicale internazio­nale. Dove le loro esibizioni all’insegna di un’estetica di stampo totalitari­o, attinta dagli stilemi del nazismo o del socialismo reale, suscitano ogni volta malessere e scandalo. Perché le loro messe in scena iperrealis­tiche, senz’ombra di ironia, senza presa di distanza, alimentano sospetti di apologia di regimi terrorizza­nti. Tanto più che proprio loro sono stati la prima rock band occidental­e a varcare le frontiere proibite della Corea del Nord. Patria di quelle coreografi­e da brivido evocate nei loro spettacoli come specchio impietoso di una realtà da guardare dritta negli occhi, senza lo schermo del ridicolo o del grottesco. Nessuna catarsi per i Laibach, militanti di un rock politico, utopico e distopico allo stesso tempo. Alla vigilia del loro concerto a Cividale, hanno accettato di rispondere, collettiva­mente come loro uso, ad alcune domande.

Il tema del Mittelfest è l’Europa e i migranti. Qual è il vostro punto di vista?

«Che l’Europa sta facendo un errore via l’altro. La sua incapacità di far fronte alla crisi dei rifugiati mostra la pochezza delle sue istituzion­i. Il problema è solo quanto tempo passerà prima che tutto ciò si trasformi in una catastrofe. Ma nonostante questa vocazione autodistru­ttiva, sinceramen­te speriamo che l’idea di Europa si salvi. Non l’Europa gelida dei politici e tecnocrati di Bruxelles, che agiscono secondo i dogmi del neoliberis­mo, ma un’Europa fondata su un progetto di emancipazi­one condiviso. La crisi dei rifugiati può aiutarci a creare una nuova visione comune, a trovare nuovi parametri etici e solidali».

Esplorare i legami tra arte e potere che differenze vi ha fatto scoprire tra linguaggi estetici di segno opposto?

«La principale è che l’arte comunista è basata su un’utopia morale mentre l’estetica fascista punta alla perfezione fisica. L’arte comunista è asessuata, l’arte nazista implica un erotismo ideale. Più “glamour”, più vicino agli ideali estetici del capitalism­o». Perché la Corea del Nord ha scelto proprio voi?

«Forse hanno visto in noi il loro equivalent­e rock... O forse perché a proporci è stato un artista norvegese, Morten Traavik, che con loro aveva già instaurato scambi culturali . Gli ha mandato un video di “Whistleblo­wers” dal nostro album “Spectre”, li ha persuasi che i Laibach erano quel che ci voleva per loro. Dopo un anno di negoziati, è arrivato l’invito».

Come mai la Corea del Nord è diventata la pecora nera dell’Occidente? «Perché la democrazia liberale

L’arte comunista è asessuata, quella fascista punta alla perfezione fisica: più vicina agli ideali estetici capitalist­ici

Il nostro concerto in Corea del Nord? Forse ci hanno scelto perché siamo il loro equivalent­e in campo musicale

occidental­e è in realtà un’ideologia autoritari­a, spaventata da quello che non conosce. E perché la Corea del Nord adora interpreta­re il ruolo della pecora nera». E le attuali relazioni tra Trump e Kim Jong-un?

«Hanno bisogno l’uno dell’altro per restare al potere. Si sostengono a vicenda». C’è un’estetica americana che vorreste esplorare?

«Lo facciamo costanteme­nte. Tutta la cultura pop di oggi è un’invenzione americana». E la tragica estetica del Daesh?

«Un’altra invenzione della cultura pop Usa. O meglio una reazione a questa. Ricordate film come “Rambo”, “True Lies”? Per non parlare di tutte le guerre che gli americani hanno fatto nel Medio Oriente».

Nel vostro repertorio compaiono a sorpresa le canzoni di “Tutti insieme appassiona­tamente”, usate come armi improprie.

«Amiamo quel film, molto più complesso di quel che sembra. Abbiamo usato le sue canzoni per il nostro concerto in Corea del Nord, dove lo conoscono, è uno dei pochi titoli americani passati alla censura, lo usano per imparare l’inglese. La storia che racconta, una famiglia austriaca costretta alla fuga dopo l’occupazion­e nazista, si adatta bene alla situazione della Corea del Nord, può essere letta in modo positivo ma anche sovversivo. E a dire il vero si adatta anche all’Europa di oggi, visto che dopo tutto è un film sui rifugiati».

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Legàmi Sopra, il look militaresc­o che caratteriz­za i Laibach sul palco. Sotto, una parata militare in Corea del Nord, Paese dove la band slovena ha potuto esibirsi due volte nel 2015 (foto Afp)

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