La cacciata degli dèi: out Murray e Djokovic
A Wimbledon il britannico eliminato da Querrey, costretto al ritiro il serbo. La certezza è Federer
DALLA NOSTRA INVIATA
«Ciao, mi chiamo Sam Austin Querrey e gioco a tennis. Vorrei trovare una brava ragazza per mettere su famiglia». Due anni fa, nel reality tv Millionaire Matchmaker, l’americano tranquillo cercava moglie, senza immaginare che un giorno, da semifinalista di Wimbledon, le potenziali mogli avrebbero cercato lui. Nel suo box sul centrale, però, oggi siede la modella Abby Dixon, una biondina affilata che si è illuminata d’immenso quando l’anca sbilenca del campione in carica Andy Murray è andata definitivamente in pezzi al quinto set, spalancando la strada verso la sfida con il croato nato a Medjugorje Marin Cilic allo yankee di San Francisco, pieno di rimpianti per non aver giocato a basket nei Detroit Tigers, che l’avevano scelto al draft del college.
È un Wimbledon di quaresima, fragole insipide (pessima annata), top-players usurati e ritiri eccellenti. Dall’alto dei suoi 197 cm Querrey ficca la racchetta nelle piaghe di Murray (rimpianti sempre vivi per Fognini, ora al mare in Puglia con Flavia e baby Chicco), riportando gli Usa in una semifinale Slam otto anni dopo Roddick, mentre basta la regolarità narcotizzante del ceco Tomas Berdych per mettere a nudo un Djokovic di basso profilo che proprio Querrey l’anno scorso eliminò all’inizio di quella crisi personale da cui il serbo, nonostante il ricostituente Agassi, non riesce a disintossicarsi. Sui prati di Church Road stava giocando il miglior tennis dell’età del suo scontento quando, sotto un set con il (bel) ceco, si è ricordato di un malanno al gomito che lo tormenta on/off, dice, da oltre un anno. «Per mezz’ora il dolore è stato sopportabile, poi non aveva più senso continuare». Non chiarisce di che problema si tratti, il Djoker, né se necessiti di chirurgia per essere risolto. «Bisognerà che consideri uno stop» butta lì senza troppa convinzione, non riuscendo a dissuaderci dall’idea che il male sia più dell’anima che del corpo e, quindi, per sua natura, sfuggente.
Possibile stop Il «Djoker»: «Bisogna che consideri uno stop». Roger ci crede: «Sono libero di testa»
Nel mercoledì delle sorprese, rimane un’unica gigantesca certezza a cui aggrapparsi. In uno di quei pomeriggi di ispirazione tale che, se volesse, potrebbe moltiplicare i pani e i pesci, Roger Federer si prende la rivincita su Milos Raonic, il canadese di Podgorica che nel 2016 — assistito da John McEnroe a bordo campo — l’aveva eliminato in semifinale martellandolo con il servizio, un’arma bianca che davvero fa il rumore del chiodo piantato con un colpo secco a tutto braccio, stoc, nel muro. Ma sul centrale strapieno, pervaso dell’energia mistica che si crea solo quando il verde diventa più verde per accogliere lo svizzero, Raonic è sempre maniacale (scarpe nuove a ogni set) però meno esplosivo e Federer ben più giovane dei suoi (quasi) 36 anni. Comincia con un ace, serve da maestro (90% di punti sulla prima palla), sbaglia pochissimo (9 errori gratuiti). È superiore in ogni zona del campo. Berdych, battuto 18 volte su 24 match, non può fare paura a questo Federer in piena seconda giovinezza. Con il naso chiuso e gli occhi lucidi per il raffreddore, Roger conferma: «Sono fresco, riposato, ottimista. Un anno fa avevo male alla schiena e al ginocchio, quest’anno gioco libero di testa». All’orizzonte si profila un gigante dal servizio monstre, ma il 19esimo Slam e l’ottavo Wimbledon non sono frutti proibiti. «Via Nadal, Murray, Djokovic: certo che sono stupito. Però questo rimane Wimbledon».
Il Wimbledon di Federer.