LA POVERTÀ CHE AUMENTA TRA I NOSTRI GIOVANI
I dati dell’Istat: sono 4,7 milioni gli italiani in povertà assoluta. Cresciuti di 144 mila rispetto al 2015
In teoria è una buona notizia: la povertà assoluta in Italia nel 2017 è ferma ai livelli fatti registrare nel 2015. Siccome il provvedimento adottato nel frattempo dal governo Gentiloni — l’introduzione del reddito di inclusione — risale solo a qualche settimana fa non possiamo testarne ancora la reale incidenza e quindi dobbiamo accontentarci di sapere che la frana si è fermata. È probabile quindi che la pur lenta ripresa dopo la Grande Crisi e la risalita, anch’essa debole, dell’occupazione siano riuscite quantomeno a tamponare il disagio più assoluto. Ma se dai dati sullo stock di poveri passiamo ad analizzarne la composizione interna le buone notizie finiscono subito.
Resta alta la povertà in Italia, con un leggero aumento rispetto al 2015, che diventa spiccato nelle famiglie numerose. Secondo l’Istat, nel 2016 le famiglie in condizioni di povertà assoluta erano un milione 619mila, per un totale di 4 milioni 742mila persone, 144 mila in più del 2015. In rapporto al numero di famiglie (25,7 milioni) e di residenti in Italia (60 milioni), l’incidenza della povertà assoluta è stata pari al 6,3% delle famiglie (contro il 6,1% del 2015) e al 7,9% degli individui (7,6% nel 2015). L’Istat classifica come poveri assoluti le persone non in grado di acquistare un paniere di beni e servizi «essenziale a uno standard di vita minimamente accettabile» che varia in base alla dimensione della famiglia, all’età e al comune.
La differenza maggiore con il 2015 si osserva nelle famiglie con tre o più figli minori. Qui il tasso di povertà assoluta è stato nel 2016 del 26,8% contro il 18,3% dell’anno precedente. In aumento anche la povertà nel Centro Italia, in particolare nei comuni medio-piccoli (fino a 50mila abitanti). Si conferma la relazione inversa tra poveri assoluti ed età: la percentuale di indigenti scende infatti al crescere delle fasce d’età osservate. Il minimo tocca i nuclei col capofamiglia ultra sessantaquattrenne (3,9%), il massimo le famiglie con la persona di riferimento sotto i 35 anni (10,4%). Il lavoro conta molto. Nelle famiglie operaie la povertà assoluta è doppia (12,6%) della media, mentre tra quelle di quadri e impiegati il tasso scende all’1,5%.
Risalendo indietro nel tempo, rispetto al 2005, a colpire è il peggioramento dell’incidenza della povertà assoluta tra i minori, dal 3,9% al 12,5% e tra i giovani, anch’essa triplicata (dal 10,% al 3,1%)
Le misure Il ministro Poletti: «Entro quest’anno reddito di inclusione per 200 mila famiglie»
L’Istat calcola anche la povertà relativa. Che equivale a una capacità di spesa non superiore alla metà di quella media. Per esempio, per una famiglia di due componenti il tetto è pari alla spesa media di una persona, cioè 1.061 euro al mese nel 2016. La povertà relativa ha riguardato il 10,6% delle famiglie (10,4% nel 2015), cioè 2 milioni 734mila, per un totale di 8 milioni 465mila persone, il 14% dei residenti (13,7% nel 2015). Come per quella assoluta, la povertà relativa aumenta con la dimensione familiare: raggiungendo il 30,9% tra i nuclei con 5 o più componenti. E colpisce i nuclei giovani, raggiungendo il 14,6% tra quelli con persona di riferimento under 35. Nelle famiglie operaie il tasso è del 18,7%, del 31% in quelle dove il capofamiglia è disoccupato.
Dopo la riforma del governo Renzi, dal 2018, per contrastare la povertà si userà il Rei, reddito di inclusione (da un minimo di 190 a un massimo di 485 euro a famiglia) che sostituirà il Sia, Sostegno all’inclusione attiva. Spesa prevista 1,7 miliardi. Entro il 2017 «passeremo da 100mila a 200mila famiglie, oltre 800mila persone delle quali oltre 400mila minori, che beneficeranno del Sia, cui a fine anno subentrerà il Rei», dice il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti.