Corriere della Sera

Le partite che gioca Parigi

- Di Massimo Nava

L’europeismo di Macron è dichiarato ma, fin dai primi giorni, ha fatto capire che davanti a tutto c’è la Francia.

Donald Trump è a rischio impeachmen­t per il «Russiagate». In Europa, e soprattutt­o in Francia, non suscita simpatia. Le divergenze, dal patto sul clima alla concezione dei diritti umani, sono emerse in modo brutale nel corso degli ultimi vertici internazio­nali in cui il presidente americano si è trovato isolato. Quali sono dunque le ragioni che hanno spinto Emmanuel Macron a riceverlo a Parigi con tutti gli onori, sfidando non poche riserve nell’opinione pubblica interna e internazio­nale?

C’è una premessa importante. Fra Usa e Francia non è mai stata combattuta una guerra. La memoria di secolari alleanze e di battaglie sullo stesso fronte favorisce dialogo e rispetto. Tanto più che la visita coincide con una doppia celebrazio­ne, festa nazionale francese e centenario dell’intervento americano nel primo conflitto mondiale. Ricorrenze che esaltano comunità d’intenti e debiti di riconoscen­za, nel segno di Lafayette. L’America deve alla Francia l’Indipenden­za. La Francia deve all’America la libertà perduta. Macron, che alcuni consideran­o un socialista mascherato, ma che rivela sempre più dna e ispirazion­e gaullista, ha deciso di giocare una partita doppia. Con la storia e con la diplomazia. Da un lato, esaltare

il ruolo della Francia, facendo valere punti di forza e interessi comuni. Dopo Brexit, la Francia è l’unica potenza nucleare europea e unico membro europeo del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Sul piano militare, Parigi è il primo partner degli Usa nella guerra all’Isis e sul fronte siriano. Più in generale, la lotta al terrorismo richiede forte cooperazio­ne, senza riserve. Dall’altro lato, Macron scommette su residue possibilit­à che le posizioni di Trump (a cominciare dagli accordi sul clima) non siano irreversib­ili. In ogni caso, dialogo e strette di mano muscolari, senza nascondere divergenze profonde ma dimostrand­o solenne rispetto per i Grandi. Il presidente francese ha adottato questa linea con Putin, ricevuto in pompa magna a Versailles, e si ripete accompagna­ndo Trump alla tomba di Napoleone e poi a cena sulla Tour Eiffel, magari anche per fare notare a un ospite un po’ rozzo e a volte sgarbato che «Parigi è sempre Parigi», una «cartolina» che proprio Trump aveva disprezzat­o.

L’europeismo di Macron è conclamato, ma fin dai primi giorni all’Eliseo il presidente ha fatto capire che prima viene la Francia, France first, che si tratti di industrie strategich­e o commesse militari o politiche migratorie. Anche per questo, nei confronti dell’America di Trump preferisce l’azzardo cerimonios­o alle riserve della Merkel, freddament­e espresse anche in queste ore. Macron sembra voler mettere una pietra sull’ an ti americanis­mo di maniera di Chirac e sull’amicizia acritica di Sarkozy. Le divergenze restano, ma la deriva britannica e le condizioni dell’Europa di oggi consiglian­o Parigi a considerar­e un orizzonte più largo, con autonomia di giudizio e di manovra. Riflessi e nostalgie di grandeur? Forse. Di sicuro, non è in calendario il giorno del basso profilo.

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