Minniti, un patto con i sindaci libici E i vescovi polemizzano con Renzi
Galantino: «Aiutarli a casa loro? Dica con quali risorse». Ma il Vaticano frena
Il gesto Una volontaria porta sulla terraferma, nel porto di Agrigento, uno dei 71 minori tratti in salvo negli ultimi giorni al largo della Libia
La prima città italiana che ha accettato di gemellarsi con una municipalità libica è Milano. Presto ne seguiranno altre, almeno si spera. «Ho già ricevuto l’ok dal sindaco Sala», conferma il presidente dell’Anci Antonio Decaro, che ieri ha partecipato a Tripoli al vertice sui migranti e sulla lotta ai trafficanti di esseri umani con il ministro dell’Interno Marco Minniti e tredici primi cittadini di altrettante città sulla costa e nel sud della Libia.
Una giornata che potrebbe rivelarsi storica — per i sindaci è sicuramente «un’opportunità storica», hanno spiegato — ma che in Italia ha coinciso con la polemica fra monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, e l’ex premier Matteo Renzi sull’ormai famosa frase di quest’ultimo: «Aiutiamoli davvero a casa loro». «Se non si dice dove, quando e con quali risorse, non solo rischia di non bastare ma può anche essere un modo per scrollarsi di dosso le responsabilità», ha affermato Galantino.
A smorzare i toni ci ha pensato il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, per il quale «il discorso dell’aiutiamoli a casa loro è valido, così la migrazione non è più una realtà forzata ma è libera».
Il patto antitrafficanti
A Tripoli il ministro Minniti, accolto dal premier Fayez Al Sarraj, ha proposto un «patto contro i trafficanti»: rinunciare all’appoggio ai clan che gestiscono le partenze dei migranti verso l’Italia in cambio di finanziamenti per progetti Milano è il primo Comune a gemellarsi Tripoli: Roma spinga per togliere l’embargo di sviluppo sociale e azioni per risollevare l’economia delle città attualmente sotto il giogo delle bande. Come Sabrata, gioiello storico e culturale, ridotto a un hub per disperati gestito dai trafficanti. Tre sindaci libici — di Al Maya, Zuwarah e Janzur — hanno rivelato di aver già bloccato gli arrivi di migranti dal Niger e dal Ciad, ma anche di aver bisogno di tutto per andare avanti: dai dissalatori agricoli alle celle frigorifere per i cadaveri, da nuovi presidi medici alle spazzatrici per pulire le strade, fino a progetti per attività sportive.
«Toglieteci l’embargo»
Ma soprattutto la Libia chiede che l’Italia agisca nelle sedi internazionali, soprattutto all’Onu, per far togliere l’embargo che impedisce di acquistare nuove armi e colmare il gap con i trafficanti. Che con migliori dotazioni potrebbero essere invece contrastati in modo efficace, sia sulla terra che in mare. In questo ambito peraltro con forze navali italiane per pattugliare le coste. «Che sia possibile togliere l’embargo almeno per alcuni corpi della sicurezza interna, come la guardia costiera e la polizia», chiedono ancora i libici che ieri, con il portavoce della Marina, l’ammiraglio Ayob Amr Ghasem, hanno parlato
Il vertice