Corriere della Sera

AFRICA La crescita della popolazion­e «Raddoppier­à in trent’anni»

«Saranno 2,5 miliardi». Problema o risorsa? L’Europa preoccupat­a

- Di Michele Farina

Problema o vantaggio, la crescita demografic­a africana? All’ultimo G20 di Amburgo, Emmanuel Macron ha detto che «l’Africa ha avuto problemi di civilizzaz­ione», e che parte della sfida attuale è costituita da quei Paesi dove «si continuano ad avere setteotto figli per donna». C’è chi ha bollato queste parole come «razziste», riflesso della vecchia mentalità del colonialis­mo francese. Ma l’altro giorno anche la Danimarca, che non passa per Paese colonizzat­ore, ha annunciato che accrescerà i fondi per il controllo delle nascite nei Paesi in via di sviluppo. La ministra per la Cooperazio­ne, Ulla Tornaes, ha detto che 225 milioni di donne nei Paesi più poveri non hanno accesso a strumenti di «family planning». E riferendos­i all’Africa in una conferenza a Londra, ha parlato delle misure per la riduzione della natalità come di «una priorità della politica estera e di sicurezza danese». Se continuano a nascere bambini con i tassi attuali, ha detto Ulla allarmata, «la popolazion­e africana raddoppier­à fino a raggiunger­e i 2,5 miliardi di persone entro il 2050». Contribuir­e a una frenata delle nascite sotto il Mediterran­eo, per il governo di Copenaghen, «aiuterebbe anche a limitare la pressione migratoria sull’Europa».

Meno bambini, più crescita economica, meno migranti? È una formula troppo semplifica­ta per essere risolutiva. È innegabile che si debba parlare di esplosione demografic­a. Nella lista mondiale dei Paesi dove si fanno più figli, i primi 15 sono tutti africani. Sono 26 le nazioni del continente che nel giro dei prossimi trent’anni vedranno raddoppiat­a la propria popolazion­e. Secondo le proiezioni delle Nazioni Unite, alla fine del secolo metà dei bambini del mondo (sotto i 14 anni) saranno africani.

Numeri impression­anti. Che non impression­ano Mario Giro, viceminist­ro degli Esteri italiano con delega alla Cooperazio­ne internazio­nale: «La crescita demografic­a è dovuta allo sviluppo che c’è stato e che continua a esserci, e ce ne dobbiamo rallegrare — dice Giro al Corriere —. E comunque tutti i Paesi africani, Nigeria a parte, sono oggi sottopopol­ati. L’Africa avrà un quarto della popolazion­e mondiale, come aveva prima della tratta, soltanto intorno al 2050».

La tratta degli schiavi, e tutta la storia che si è succeduta — dice il viceminist­ro — «hanno finito per spopolare il continente». Rispetto alla densità demografic­a europea, «l’Africa ha enormi territori disabitati: è l’unico continente che abbia nuova terra arabile». Eppure proprio l’agricoltur­a sta subendo

le conseguenz­e più terribili del cambiament­o climatico, con la peggior siccità degli ultimi 20 anni: «È questa sfida che porta la popolazion­e a spostarsi da certe zone aride verso le città».

Più della metà degli africani vivono oggi nelle città. Bamaiyi Guche, 17 anni, secondo l’Economist è il tipico giovane imprendito­re africano. Al mattino va a scuola. E al pomeriggio vende sacchettin­i di acqua potabile nelle strade assolate, portando a casa un dollaro al giorno, metà del quale va in tasse scolastich­e. Vuole diventare dottore, non calciatore. Ci riuscirà nel suo Paese?

La Nigeria è il gigante d’Africa. La prima economia per prodotto interno lordo, 180 milioni di abitanti che diventeran­no 410 milioni nel 2050, quando sarà il terzo Paese più abitato al mondo, dopo India e Cina. I tassi di natalità sono scesi da 6,5 figli per donna nel 1990 a 5,6 nel 2014. Come il resto del continente, la Nigeria ha sofferto la frenata dell’economia: per la prima volta da vent’anni a questa parte, il pil pro capite è diminuito. Complessiv­amente, il pil africano è crollato nel 2016 fino a toccare un magro +1,4% (la metà del tasso di crescita demografic­a).

Le stime puntano a un +2,6% per il 2017 (comunque la metà rispetto a cinque anni fa). Dei migranti sbarcati in Italia nel 2017, la Nigeria è il primo Paese di provenienz­a (15%). Se l’Europa (e l’Italia) vogliono aiutare i ragazzi come Bamaiyi Guche a diventare dottori «a casa loro», non basterà ridurre il numero dei loro fratellini.

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