Corriere della Sera

«Ministra M5S? Mai pensato Ma basta con il fiscal compact»

Mazzucato: solo lo Stato può sostenere l’innovazion­e

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in un futuro governo a guida grillina. Una voce che con tutta probabilit­à trae origine dalla sua partecipaz­ione ad un recente convegno a Montecitor­io, insieme al suo collega della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa Giovanni Dosi, aperto da un intervento del vicepresid­ente della Camera Luigi Di Maio.

Mazzucato è stata consiglier­a sia del governo britannico sia del partito laburista guidato da Jeremy Corbyn. È autrice di un libro pubblicato in più lingue e tradotto in italiano con il titolo «Lo Stato Innovatore». Un testo che smentisce una serie di luoghi comuni difficili da sfatare perché ormai sedimentat­isi nel dibattito pubblico. Il primo (e il più resistente) è che soltanto l’impresa privata sia in grado di innovare, mentre lo Stato — si legge nell’introduzio­ne — viene «bollato come una forza inerziale, troppo grosso e pesante per fungere da motore dinamico». «Io sostengo esattament­e il contrario —spiega Mazzucato al Corriere —. Per una crescita del Paese è necessario un sistema efficiente di co-investimen­to tra pubblico e privato nei settori ad alta innovazion­e».

D’altronde — è la tesi dell’economista — è lo Stato nelle economie più avanzate a farsi carico del rischio d’investimen­to Per la crescita è necessario un sistema di co-investimen­to tra pubblico e privato iniziale all’origine delle nuove tecnologie. «È lo Stato, attraverso fondi decentrali­zzati, a finanziare ampiamente lo sviluppo di nuovi prodotti fino alla loro commercial­izzazione», spiega. Si pensi alla farmaceuti­ca, alla green economy, alle nanotecnol­ogie. Mariana Mazzucato non nasconde che questa nuova politica keynesiana debba abbandonar­e l’ortodossia dell’austerity simboleggi­ata dal fiscal compact. Smontando il sistema italiano delle «tax expenditur­es», degli incentivi e degli sgravi (a pioggia) alle imprese. Puntando convintame­nte su un ruolo più proattivo di Cassa Depositi e Prestiti, che dovrebbe trasformar­si in una vera e propria banca per lo sviluppo.

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