Corriere della Sera

LE ONG POSSONO FORZARE I BLOCCHI NEGLI ALTRI PORTI

- Di Milena Gabanelli

La dichiarazi­one universale dei diritti umani prevede per ogni cittadino il diritto ad uscire dal proprio Stato, ma non quello di entrare in un altro, l’ingresso è una concession­e. In anni più recenti è stato introdotto l’obbligo di accogliere chi sta fuggendo da una persecuzio­ne. Dove va tracciato il confine per attivare tale obbligo? Un problema complicato con il quale tutti stiamo facendo i conti.

L’Italia è di fatto l’hub d’Europa da anni e lo sarà per decenni, e negli ultimi mesi il 90% non sono richiedent­i asilo.

Per impedire le partenze possiamo mettere un blocco navale davanti alla Libia? Sì. Può deciderlo il nostro Governo? No, serve l’esplicita richiesta di Tripoli. Potrebbe farlo? Forse, ma solo il giorno in cui le agenzie dell’Onu, che hanno già intascato dall’Ue 90 milioni, saranno in grado di allestire campi di accoglienz­a e identifica­zione. Per fare questo servono condizioni di sicurezza che ora non ci sono. Solo il nostro ministro dell’Interno sta provando a farsi in quattro per costruire dialoghi e accordi con fazioni e tribù, formando e pagando (con i soldi dell’Ue) guardie costiere e di frontiera. Per il momento

l’unica organizzaz­ione che funziona è l’industria dei trafficant­i di uomini, e il nastro trasportat­ore umanitario verso la Sicilia.

Per frenare le partenze bisognereb­be ritirare le navi di soccorso. Opzione difficile da praticare. Possiamo invece chiudere i nostri porti alle Ong che battono bandiera non italiana? Sì, usando la stessa modalità con cui gli stati membri si rifiutano di accogliere le loro quote di richiedent­i asilo, in violazione

Pragmatism­o I buoni sentimenti non potranno mai sostituire competenza e corretta amministra­zione

degli accordi Ue, senza che l’Ue abbia attivato alcuna sanzione. Alternativ­a: le Ong stesse potrebbero «forzare» la mancata condivisio­ne delle responsabi­lità da parte degli Stati membri, poiché vivono di azioni «dimostrati­ve» che sono all’origine del fundraisin­g. Cosa accadrebbe se la Prudence di MSF, che è ben attrezzata, entrasse nel porto di Nizza con un carico di 500 migranti? Cosa farebbe Macron? Per saperlo bisognereb­be osare. Lo scenario è prevedibil­e: centinaia di volontari andrebbero in soccorso dei migranti a bordo, con cibo, indumenti, medicinali. Più l’attesa si prolunga e più il caso si allarga alla stampa mondiale. La stessa cosa si può replicare a Barcellona o a Malta. Alla fine qualcosa sui tavoli di Bruxelles succederà!

Alle Ong converrebb­e «diversific­are» le destinazio­ni, anche per non correre il rischio di contribuir­e, inconsapev­olmente, ad una crisi sistemica, che qualche Fondo speculativ­o capitalizz­erà.

Crisi inevitabil­e, poiché sulla terra ferma si va avanti con il volontaria­to, le cooperativ­e e associazio­ni, senza un progetto complessiv­o e controllat­o che solo una gestione pubblica può garantire.

Il Prof Sciortino scrive: «L’immigrazio­ne è un problema da gestire, al pari di tanti altri. Dove i buoni (o malvagi) sentimenti non potranno mai sostituire la competenza e la buona amministra­zione».

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