Franco Milasi,
Caro Aldo, è ancora molto vivo il ricordo di quel torrido mattino del 15 luglio di vent’anni fa quando ci giungeva notizia che Gianni Versace non c’era più. Reggio Calabria, allora come adesso, non ha forse amato questo suo figlio illustre, ma quello che rimane inconfutabile è che qui Gianni ha ricevuto l’imprimatur della sua genialità. Poi è andato via e altrove ha avuto modo di sprigionare tutta la sua enorme potenzialità creativa. Il seguito è ormai Storia. A 20 anni, e dopo quanto questo suo figlio ha dato in notorietà nel mondo alla sua città natale, Reggio Calabria persiste nel disamore o indifferenza nei suoi confronti. Non mi sembra di notare per la città un segno, una via che ne ricordi i natali o la ricorrenza del 15 luglio. Una città e tanti amministratori a dir poco indifferenti o distratti, che hanno dedicato anche siti illustri a personaggi di Reggio che nulla dicono a chi viene qui. Non è questione di merchandising, sarebbe riduttivo se non offensivo nei confronti della sua grande memoria, ridurlo a santino. Forse è meglio così. Gianni appartiene al mondo!
Reggio C. Caro Franco, mi unisco al ricordo di un grande artista e imprenditore italiano.
INCENDI
Le lettere firmate con nome, cognome e città e le foto vanno inviate a «Lo dico al Corriere» Corriere della Sera via Solferino, 28 20121 Milano Fax: 02-62827579
«Un grande artista che appartiene al mondo»
lettere@corriere.it letterealdocazzullo @corriere.it
Aldo Cazzullo - «Lo dico al Corriere» «Lo dico al Corriere» @corriere
Caro Aldo,
Fête nationale. Attraversando la Francia in ogni paesino mille iniziative in occasione del 14 luglio. E da noi? Il 25 Aprile è una festa “politica”. Due Stati, due popoli.
Caro Aldo,
oggi la Francia festeggia una giornata che da ben 228 anni divide, tra un prima e un dopo, la storia dell’umanità in nome di quel grido «Liberté, egalité, fraternité». Ritiene sia necessario mantenere saldi quei valori soprattutto tra i giovani?
Cari lettori,
Il 25 Aprile è considerata un «festa politica» perché tale l’abbiamo fatta diventare. Anche il 14 luglio 1789 in Francia ci furono dei vinti, anche la rivoluzione fu a suo modo un conflitto civile. La differenza è che in Francia – mutato il molto che c’è da mutare — nessuno dubita quale fosse la parte giusta e quale la parte sbagliata; anche se molti tra coloro che militarono sul fronte di «liberté égalité fraternité» tradirono quel motto versando il sangue dei compatrioti.
In questi giorni ho ricevuto centinaia di messaggi sulla questione dell’antifascismo. Non sarei onesto se tacessi che la grande maggioranza sostenevano o giustificavano l’apologia di fascismo. Una lettrice, all’evidenza ignara o dimentica del colonnello Montezemolo, del generale Caruso, dei carabinieri martiri a Fiesole e alle Ardeatine, degli internati militari in Germania, mi ha scritto che l’antifascismo è roba da radical chic. Nessuno ha trovato nulla da ridire sulla battuta antisemita dell’onorevole Corsaro, su cui ha scritto parole definitive Pierluigi Battista, autore di uno splendido libro intitolato «Mio padre era fascista».
È vero che la Francia ha una coscienza nazionale più antica della nostra, e che i conflitti civili si sono stemperati nel tempo. Nel 1871 la Comune di Parigi fu stroncata con i plotoni d’esecuzione: George Duby scrive di 40 mila fucilati, più i deportati alla Cayenna. Il regime filonazista di Vichy fu cancellato dalla memoria nazionale con un’operazione politica: De Gaulle lo considerava «nullo e mai accaduto», Mitterrand che da Pétain era stato decorato non rinnegò mai l’amicizia con il capo della polizia Bousquet; bisognò attendere Chirac, uomo di destra, perché fosse riconosciuta la responsabilità francese nella persecuzione degli ebrei. In Francia però per una battuta antisemita si finisce condannati dalla magistratura ed espulsi dal partito: Marine Le Pen l’ha fatto con suo padre. L’on. Corsaro rimane al suo posto.