Corriere della Sera

Il re degli alambicchi e i suoi distillati di frutta dimenticat­a

Gianni Vittorio Capovilla è noto in tutto il mondo per gli spiriti rigorosame­nte artigianal­i

- Marco Cremonesi

isogna salire sugli alberi, chinarsi verso la terra, raccoglier­e la frutta e metterla in bocca. Il Capo continua a farlo anche oggi che i capelli sono bianchi. Ci fa una purea e la lascia fermentare per i giorni giusti. Lieviti, quasi mai: bastano quelli nell’aria. Poi, due distillazi­oni. E riposo: sei, otto, dieci anni.

I distillati di Gianni Vittorio Capovilla nascono così. Spesso da frutti umili, spontanei, dimenticat­i: prugnolo, mora di rovo, corniola, sorbo. Lui li sceglie e li distilla. Sembra facile. A sentire lui, lo è: «Basta provare. Lavorare». Basterà, ma di Capovilla c’è n’è uno. Il culto per le sue bottiglie, curate una ad una con la figlia Livia e il nipote Alvise, unisce gli appassiona­ti del mondo intero: per i tedeschi è «der König», il re. Vanto nazionale di un’Italia che la frutta quasi non la distilla.

All’inizio della storia, Capovilla è meccanico. Però, conosce il tedesco. E così, un cliente che vende macchine enologiche in Germania, lo porta nei suoi viaggi. Ed è lì, in una delle grandi patrie dell’alambicco, che Capovilla trova la sua strada e cambia. E decide di cambiare le sua vita. Oggi i suoi spiriti non sono soltanto sapienza della materia prima, scienza della fermentazi­one, conoscenza dei suoi tre alambicchi Müller. È l’insieme che nasce da ogni passaggio, essenziale e necessario. Zen.

Con la stessa visione, Capovilla distilla tutto: vino, vinaccia, birra. Ne nascono spiriti assoluti, quintessen­ze che incantano anche chi ha assaggiato tutto. Qualche anno fa, il gran maestro degli spiriti Luca Gargano sequestrò Capovilla per qualche settimana. Se lo portò a Marie Galante, piccola Antilla a un Atlantico di distanza da Rosà, fuori Bassano, il regno di Capovilla. Gli fece distillare canna da zucchero e ne nacque il Rhum-rhum. Rum con la maledizion­e di sempre: la perfezione. La critica, quando c’è, è sempre quella: i distillati di Capovilla sarebbero «troppo perfetti ». Glielo dice anche Alvise: «Nonno, fai qualcosa di più sporco». Di più ruspante. Lui, niente. Scuote la testa e va avanti. Il muro e quando il governo voleva imporci di dare le uve a una cooperativ­a».

Vestito di nero, calvo, Ales disegna nell’aria,a grandi gesti, la sua visione del vino naturale. Lo hanno ospitato a Milano i tre amici-soci del Bicerìn, un’enoteca-salotto in via Panfilo Castaldi. Il primo è Alberto Gugliada, che di mestiere fa l’editore online (gruppo Trilud) ed è sommelier. La seconda è Silvia Amoni, che lavorava con Lorenzo fino al giorno in cui capo e dipendente (anche lei sommelier) si sono detti: «Apriamo un’enoteca e lavoriamo solo di sera?», per poi scoprire che «si inizia al mattino e si finisce a notte inoltrata, ma ci si diverte». Il terzo è Lorenzo Viola, compagno di Alberto, architetto con trascorsi negli studi di Zaha Hadid e Norman Foster a Londra, dove ha abitato a lungo Alberto Gugliada, Lorenzo Viola e Silvia Amoni, i tre proprietar­i del «Bicerìn» di via Panfilo Castaldi, a Milano. A lato, la bottiglia di «Puro» capovolta Gianni Vittorio Capovilla, 72 anni, distilla la frutta delle sue parti (vive a Rosà, nel Vicentino), ma anche vino, vinacce, birra. E poi cerca in tutto il mondo frutti dimenticat­i: dalle pesche saturno ai lamponi selvatici, dal sorbo alle bananine dei Caraibi, dall’uva Isabella alle pere del miele mondo sarà imperfetto, ma Capovilla cerca l’idea di cui il mondo è copia. Il punto non è che i suoi distillati «sanno proprio» della materia da cui nascono. Lui ti guarda con quel suo sguardo chiaro: «Per quello basterebbe la chimica».

Per capire, bisogna assaggiare. Ecco un sorbo. Nel naso è sfrontata erba forte, verde di mandorla acerba. In bocca cambia il mondo. È terra. Terra come escargot, come terra madre. Non è un sorso, è una rivelazion­e. Pere? Capovilla ne tira fuori quattro della ventina che prima o dopo ha distillato. Tra loro anche la pera del Miele, varietà selvatica di cui sono rimasti soltanto quattro o cinque alberi, colossali. Pretende di salirci solo lui: «Non voglio che qualcuno si faccia male. Io mi arrampico da quando sono nato». Le assaggi. Ognuna è pera in modo assoluto ma diversa dalle altre in modo totale. Dopo, ti sembra di aver capito qualcosa della natura della pere. E del mondo.

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