I fondi sovrani si «restringono» Investimenti giù di 8 miliardi
Lo studio Bocconi: il portafoglio globale oggi vale 5.600 miliardi di dollari
Gli investimenti dei Fondi Sovrani toccano il minimo del decennio ma cresce la diversificazione e la propensione al rischio dei loro portafogli finanziari. Il restringersi della rendita petrolifera (o di altre commodities) dovuto al calo del prezzo del greggio ha ridotto infatti l’ammontare complessivo delle risorse investite nel 2016, che per il totale dei fondi ha raggiunto i 39,9 miliardi di dollari, contro i 48 miliardi dell’anno precedente. É questa la fotografia dell’universo dei Fondi sovrani, quegli organismi nati dalla costola delle banche centrali dei paesi strutturalmente in avanzo commerciale, che ci consegna la quinta edizione del Sovereign Wealth Fund report, realizzato dal Sovereign Investment Lab (Sil) dell’Univerità Bocconi, guidato dall’economista Bernardo Bortolotti.
La presentazione del report si terrà oggi a porte chiuse nella sede dell’Università in via Sarfatti, con la partecipazione di investitori istituzionali e direttori di alcuni dei principali fondi sovrani. E contemporaneamente si concluderà il programma di formazione indirizzato ai direttori e funzionari dei fondi curato dal Sil e dalla Sda Bocconi.
«Per il totale dei 38 Fondi Sovrani che abbiamo analizzato, per due terzi emanazione di paesi che hanno un avanzo nella bilancia dei pagamenti dovuto al surplus delle commodities, e per un terzo veicoli di investimento di paesi esportatori come l’India e la Cina, si registra uno stock di masse amministrate che supera i 5.600 miliardi di dollari», spiega Bortolotti. Primo in classifica il fondo sovrano norvegese, fondato nel 1990, che amministra un patrimonio di 903 miliardi, un rendimento medio annualizzato del 5,3% . Un primato insidiato, almeno a livello di rendimento dal ritorno del 6% del fondo di Singapore o dal 7,5% del fondo dell’Australia. «Di fronte al calo delle risorse la reazione di alcuni fondi è stata quella di aumentare la diversificazione e abbandonare i settori più tradizionali come l’immobiliare, le infrastrutture, la salute», spiega Bortolotti. La virata verso l’hi tech per contro è stata netta e il totale delle operazioni realizzate in questo settore ha raggiunto i 13,4 miliardi, pari al 33% del totale. Un valore pari a quello investito nell’intero arco dei dieci anni precedenti. L’Italia ha intercettato