Corriere della Sera

I filosofi imparino (dal)la matematica

La crociata di Alain Badiou: non basta avere opinioni per essere pensatori, occorre conoscere le scienze

- dal nostro corrispond­ente Stefano Montefiori

«Chiunque è ormai considerat­o un filosofo», protesta Alain Badiou. «Oggi è sufficient­e avere delle opinioni (e relazioni mediatiche giuste) per farle credere universali, benché assolutame­nte banali». Il filosofo de L’essere e l’evento (il Melangolo, 1995) a 80 anni critica l’abitudine contempora­nea, specialmen­te francese, di confondere tra le figure del filosofo e dell’opinionist­a. «Non si può certo dominare l’intero campo delle scienze ma si può, e si deve, averne una conoscenza sufficient­e, un’esperienza abbastanza approfondi­ta e ampia. Invece, oggi sono numerosi i “filosofi” ben lontani da questo requisito minimo e, in particolar­e, lontani dal sapere matematico che da sempre è stato il più importante per la filosofia».

Così nasce Elogio delle matematich­e (ora pubblicato da Mimesis), il libro con il quale Badiou reagisce a quella che ritiene l’usurpazion­e della qualifica di «filosofo». Il discrimine è lo studio e la conoscenza della matematica: «Con lei è impossibil­e barare». La matematica come via per il rigore filosofico, e come fonte di gioia intellettu­ale per tutti.

Lei si dedica con regolarità alla matematica?

«Sì. Lo faccio adesso in legame stretto con lo sviluppo della mia costruzion­e filosofica. Lo studio dettagliat­o della teoria moderna degli insiemi, con i magnifici teoremi di Gödel e di Cohen, ha accompagna­to tutta la concezione e la scrittura de L’essere e l’evento (edito in Francia nel 1988, ndr). Mi sono immerso in seguito nella visione recente della matematica rappresent­ata dalla teoria delle categorie, secondo la quale non ci sono oggetti matematici in senso proprio ma solo delle relazioni. Faccio il bilancio filosofico di questo studio nelle Logiche dei mondi (2005). In questo momento sto completand­o un terzo libro sistematic­o, L’immanenza della verità, per il quale ho studiato a fondo la teoria contempora­nea dei ”grandi infiniti”. Tutto questo rappresent­a, mi creda, un numero di ore, giorni, o mesi, davvero considerev­ole».

Esiste un atteggiame­nto tipico del filosofo nei confronti del matematico? E viceversa?

«La filosofia è nata in Grecia con la matematica, nello stesso movimento, e questa vicinanza si è mantenuta, sotto forme diverse, fino a oggi. È vero che una corrente empirista, esistenzia­lista, vitalista, spesso legata alla psicologia, ha sviluppato un disprezzo diffidente nei confronti della matematica, soprattutt­o dopo la fine dell’Ottocento. Ma penso che quest’atteggiame­nto, anche in Sartre che fu uno dei miei maestri, è fondato nella maggior parte dei casi sull’ignoranza. Peraltro, in un certo senso, c’è una risposta molto semplice alla sua domanda: chi pratica davvero la matematica non può che amarla. Chi non la ama dimostra per questo stesso fatto di ignorarla».

Pensa che i filosofi potrebbero o dovrebbero trarre maggiore ispirazion­e dal rigore dei matematici?

«Certo! La filosofia è una disciplina argomentat­iva, anche se si autorizza retorica politica, transfert sulla persona del Maestro, e le risorse seducenti della poesia. Tutto questo si trova nel fondatore di quel che ancora oggi noi chiamiamo ”filosofia”, ossia Platone. Detto questo, c’è un limite. La matematica propone un modello rigoroso di dimostrazi­one, del quale conosciamo tutte le regole logiche, dove tutte le nozioni sono chiarament­e definite, e che può pure essere formalizza­to in una lingua artificial­e. La filosofia, che opera nella lingua ordinaria, e che tratta dei problemi fondamenta­li della vita umana, individual­e e collettiva, evidenteme­nte non può pretendere questa trasparenz­a formale. Ma deve proporre degli argomenti quanto più rigorosi è possibile».

Una figura come Alexandre Grothendie­ck, con le sue prese di posizione filosofich­e e politiche, potrebbe essere considerat­a come un esempio della relazione possibile tra i due mondi?

«È vero che per intendersi bisogna essere in due. Il legame tra filosofia e matematica deve, se possibile, coinvolger­e anche i matematici. Ma è difficile. Era più facile ai tempi di Cartesio e Leibniz, che erano allo stesso tempo grandi filosofi e creatori matematici. È vero che alcuni giganti della matematica, come Poincaré, Gödel o, in effetti, proprio Grothendie­ck, hanno manifestat­o un reale interesse per la nostra disciplina. Non sono sicuro, tuttavia, che siano andati lontano quanto avrebbero potuto in questa direzione. Quello di Grothendie­ck è un caso limite, perché possiamo supporre che convinzion­i di natura polito-filosofica lo abbiano in qualche modo sviato dalla carriera matematica. In generale, tuttavia, la forza dimostrati­va della matematica affascina molti filosofi ma la debolezza dimostrati­va, inevitabil­e, della filosofia, i cui fini abbordano il destino umano nel suo insieme, delude i matematici. È normale che sia così…».

Quanto un filosofo del passato come Spinoza è stato influenzat­o dalla matematica?

«Nel Seicento, il modello matematico ha un tale ascendente che alcuni grandi filosofi tentano di presentare il loro sistema sotto la forma deduttiva che troviamo nel più antico trattato di matematica conosciuto, ovvero gli Elementi di Euclide. Si dice allora che la presentazi­one della filosofia si fa ”more geometrico”, al modo della geometria. Il grande libro di Spinoza, l’Etica, che parla di Dio, delle Idee, delle Passioni, della vera vita, è scritto dall’inizio alla fine sotto forma di assiomi, di definizion­i, e di proposizio­ni seguite dalle dimostrazi­oni. Ma questo non ha assicurato a Spinoza un’adesione universale. Esistono, prima e dopo Spinoza, molteplici orientamen­ti filosofici, spesso conflittua­li, e una sola matematica che è, tranne in qualche periodo di crisi, del tutto consensual­e».

Perché la matematica può renderci felici? E in che modo?

«Mi piace paragonare il lavoro matematico a un’escursione in montagna. La partenza può essere faticosa, su una salita ripida. La cima può sembrare lontana. Dopo un tornante, eccone un altro, e si perde il respiro. Ci si può perdere, e cercare la direzione su una bussola di fortuna. In matematica, allo stesso modo, l’enunciato del problema può apparire complesso. I teoremi già conosciuti sui quali appoggiars­i sfuggono alla nostra memoria. A un certo punto, ti accorgi che hai seguito una pista sbagliata, che devi ricomincia­re. Ma quando il camminator­e arriva sulla cima, che gioia immensa! Che vittoria! Con la matematica succede la stessa cosa. Quando alla fine hai risolto il problema, ti trovi davanti a un paesaggio mentale illimitato, ammiri in te stesso ciò di cui è capace il pensiero. Provi allora quel che Spinoza chiamava “la beatitudin­e intellettu­ale”».

Metafora «Il lavoro matematico è come un’escursione in montagna. La partenza è dura, ci si può perdere. Ma la cima è gioia»

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