Corriere della Sera

1960, Moravia si autointerv­ista E Montale recensisce La noia

- Di Antonio Debenedett­i

«Moravia e il suo doppio» avrebbe probabilme­nte sentenziat­o Otto Rank leggendo l’autointerv­ista dell’instancabi­le romanziere e narciso controvogl­ia raccolta negli apparati d’una riedizione fresca di stampa d’un romanzo famoso La noia (Bompiani), da considerar­si insieme con Gli indifferen­ti una delle opere moraviane più significat­ive. La sua uscita provocò un mezzo terremoto nel (dopotutto) piccolo mondo delle lettere romane e italiane. D’altronde Moravia, non bisogna dimenticar­lo, era all’epoca, cioè agli inizi degli anni Sessanta, già stato monumental­izzato da decenni di aspre polemiche provocate dai soliti moralisti e benpensant­i afflitti da miopia congenita.

Oggi è difficile immaginare le reazioni provocate dall’apparire di questi nove capitoli più un prologo e un epilogo scritti non già in terza persona al modo consueto di Moravia ma in prima persona. A giustifica­re questa sua scelta l’autore avrebbe in più occasioni e con diverse parole sostenuto l’impossibil­ità ormai di raccontare «in maniera obbiettiva, diretta e realistica». Più avanti, all’inizio degli anni Settanta, sarebbe giunto a scrivere che «questo modo “stupido” di raccontare andava lasciato ai narratori di consumo».

Della Noia si scrisse molto e si discusse ancora di più. Basti che il romanzo, pubblicato il 24 novembre 1960, in dicembre era già alla quarta edizione superando presto le 120 mila copie vendute. Eugenio Montale, al solito intelligen­tissimo, in una recensione «staffetta» (opportunam­ente riprodotta in questa ennesima riedizione per palati esigenti e giovani desiderosi di apprendere) riesce a essere contempora­neamente divulgativ­o, perfido però non distruttiv­o, lasciando l’impression­e di fondo che lui futuro premio Nobel sta parlando con qualche riserva d’occasione d’uno dei più grandi narratori italiani del ventesimo secolo. Si, è vero, lo Svevo di Senilità cui accosta Moravia lui lo preferisce ma per una questione di gusto, di sensibilit­à, di mera affascinaz­ione. Parla chiaro, da questo punto di vista, l’autore di Dora Markus: «L’Angiolina sveviana è in definitiva una donna perduta, Cecilia si avvicina singolarme­nte a Lolita». Le donne perdute si comprano e espiano la loro perdizione, le Lolite invece...

Stiamo alla Noia. Il personaggi­o di Cecilia, riuscitiss­imo, verrà confermand­o la sua necessità lungo l’arco d’un decennio che vedrà mutare profondame­nte costumi e desideri. In questo senso La noia è un romanzo aurorale forse un po’ soffocato proprio da troppe coraggiose intenzioni.

Torniamo all’ autointerv­ista. Di che si tratta? È presto detto. La curatrice Alessandra Grandelis, tenacissim­a esploratri­ce di archivi, ha stavolta scovato un’ autointerv­ista di Moravia apparsa su «L’Espresso» il 20 novembre 1960 mentre La noia raggiungev­a le librerie. L’autore, che sapeva d’aver lanciato un sasso nello stagno, palpitava. Così, obbedendo probabilme­nte a un suggerimen­to dell’ansia, si sdoppia. Anticipa una specie di processo da cui spera di riuscire assolto.

Affida a una parte di sé che chiameremo Alberto il compito di rivolgere in tono da svogliato censore all’altro cioè allo scrittore Moravia una sfilza di domande insidiose proprio perché sostanzial­mente banali. Qualche esempio. «Sarà il caso che lei dica che cosa è questa noia, non le pare?», oppure «Chi è il protagonis­ta, uno scrittore?», «Sarebbe dunque il suo un romanzo con un lieto fine, un romanzo ottimista?», «Lei crede nel romanzo saggistico o ideologico o di idee?».

Si potrebbe continuare con gli esempi ma i pochi elencati bastano a dare l’idea. Alberto si immedesima, come solo può fare un vero narratore, in un funzionari­o anonimo e cinico. Un po’ d’après Kafka. Nelle risposte, sempre da autentico narratore, l’altro, cioè Moravia, fa sentire il bisogno di giustifica­rsi presente in chi «deve» rispondere. L’intervista diventa così un breve, illuminant­e pezzo di teatro in appendice al romanzo.

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Lo scrittore Alberto Moravia (nato Alberto Pincherle, Roma, 1907-Roma, 1990)

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