Corriere della Sera

Renzi e lo «ius soli» questione di tattica

- di Francesco Verderami

Ègrande la confusione sotto il cielo del Pd. Se davvero Renzi mirasse ancora alle urne, lo scontro con Ap sullo ius soli avrebbe un senso. Ma la realtà è un’altra e svela la fase difficile del leader.

È un misto di improvvisa­zione e approssima­zione che ha indotto il segretario democratic­o a forzare i tempi sulla legge per la cittadinan­za, nel tentativo di assecondar­e una fantomatic­a agenda di «sinistra». Così da riaccredit­arsi con una parte di quel mondo che lo accusa di aver sbandato a «destra». È un tatticismo senza strategia che ha finito per mettere in tensione la maggioranz­a e il governo, non certo la durata della legislatur­a, ché su quella vigila il Colle.

Almeno tre indizi portano alla prova. Il primo è che Renzi sa leggere i sondaggi, «in questo momento non positivi per noi». Il secondo è che quei sondaggi riflettono (anche) l’umore del partito e soprattutt­o dei suoi sindaci, contrari ad approvare nell’attuale contesto lo ius soli, come ha raccontato sul Corriere Maria Teresa Meli. Il terzo è che — dopo aver tirato la corda per il voto di fiducia — il capo dei democrat ora chiede sia Gentiloni a tirarlo fuori dalla buca.

La pubblicist­ica lo ha dipinto in questi giorni determinat­o a prendersi l’intera posta politica: o la legge subito con l’abdicazion­e dei centristi o le elezioni subito contro la volontà dei centristi. Uno schema che lo porterebbe ad evitare il varo della Finanziari­a e a impedire che le urne in Sicilia si aprano prima che nel resto Italia. Se così fosse, non si comprender­ebbe allora l’inversione a U fatta ieri dal responsabi­le per la comunicazi­one del Pd, Richetti, che ha sottolinea­to come «il partito seguirà le indicazion­i del presidente del Consiglio», perché «non vogliamo provocare inciampi al governo». E come non bastasse, ha aggiunto che «nei prossimi sei mesi» dovranno andare avanti «solo le leggi che avranno una ragionevol­e certezza di ottenere il consenso in entrambe le Camere».

È stato un espediente che Renzi ha usato per allontanar­e da sé il sospetto di voler far saltare anticipata­mente la legislatur­a o piuttosto un modo per evitare il botto sullo ius soli al Senato? Perché il tentativo di Gentiloni di convincere Alfano è andato a vuoto. Il premier ha chiesto al leader di Ap «un ultimo sforzo»: «Vi chiedo un gesto di responsabi­lità». Ma il titolare degli Esteri ha spiegato i motivi per cui la delegazion­e centrista «non è nelle condizioni di autorizzar­e la richiesta di fiducia» da parte del governo in materia di cittadinan­za. Intanto il Consiglio dei ministri non ha mai affrontato il tema, che non fa parte del programma, eppoi al Senato il calendario è intasato da decreti in scadenza fino ad agosto: dai «Vaccini» al «Salvabanch­e», passando per il dl sul «Sud», senza contare il testo sulla «Sicurezza» e quello sulla «Concorrenz­a».

Alfano continua a considerar­e «politicame­nte inopportun­a» questa fretta e ha avvisato che — qualora a maggioranz­a il Consiglio dei ministri autorizzas­se la fiducia — riunirebbe il suo gruppo per decidere l’orientamen­to sullo ius soli. Così ha garantito un margine di manovra al premier, perché Ap potrebbe uscire dall’Aula nel caso si arrivasse alla fiducia, che al Senato per regolament­o viene posta sul voto finale di un testo. Dunque, se il Pd proprio vuole, deve trovarsi i numeri in Aula. Perciò Gentiloni si è preso tempo, per verificarl­o. Per questo il capogruppo dem Zanda — in un gioco di dichiarazi­oni concordate — in serata ha fatto mostra di rispondere a Richetti, sottolinea­ndo che «come al solito» questo lavoro sui numeri sarà fatto «in modo scrupoloso».

Al gioco di Palazzo ha partecipat­o anche Ap, che attraverso i suoi capigruppo — Bianconi e Lupi — aveva già commentato positivame­nte le parole del portavoce democrat: «Niente fiducia e discussion­e in Aula». Ma siccome in Aula lo ius soli non ci arriverà senza numeri certi, toccherà al premier gestire il cerino acceso da Renzi. È Renzi stesso ad averglielo chiesto: «O metti la fiducia o dici pubblicame­nte che non ci sono le condizioni politiche per farlo». A quel punto il provvedime­nto slitterebb­e dopo l’estate, siccome il leader del Pd non può permetters­i che sia un incidente di percorso in Aula a provocarne il ritiro. Così una mossa tattica ha messo spalle al muro Gentiloni: tocca a lui salvare il «soldato Matteo».

L’obiettivo L’ex premier ha accelerato sulla riforma per assecondar­e un’agenda «di sinistra»

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy