Renzi e lo «ius soli» questione di tattica
Ègrande la confusione sotto il cielo del Pd. Se davvero Renzi mirasse ancora alle urne, lo scontro con Ap sullo ius soli avrebbe un senso. Ma la realtà è un’altra e svela la fase difficile del leader.
È un misto di improvvisazione e approssimazione che ha indotto il segretario democratico a forzare i tempi sulla legge per la cittadinanza, nel tentativo di assecondare una fantomatica agenda di «sinistra». Così da riaccreditarsi con una parte di quel mondo che lo accusa di aver sbandato a «destra». È un tatticismo senza strategia che ha finito per mettere in tensione la maggioranza e il governo, non certo la durata della legislatura, ché su quella vigila il Colle.
Almeno tre indizi portano alla prova. Il primo è che Renzi sa leggere i sondaggi, «in questo momento non positivi per noi». Il secondo è che quei sondaggi riflettono (anche) l’umore del partito e soprattutto dei suoi sindaci, contrari ad approvare nell’attuale contesto lo ius soli, come ha raccontato sul Corriere Maria Teresa Meli. Il terzo è che — dopo aver tirato la corda per il voto di fiducia — il capo dei democrat ora chiede sia Gentiloni a tirarlo fuori dalla buca.
La pubblicistica lo ha dipinto in questi giorni determinato a prendersi l’intera posta politica: o la legge subito con l’abdicazione dei centristi o le elezioni subito contro la volontà dei centristi. Uno schema che lo porterebbe ad evitare il varo della Finanziaria e a impedire che le urne in Sicilia si aprano prima che nel resto Italia. Se così fosse, non si comprenderebbe allora l’inversione a U fatta ieri dal responsabile per la comunicazione del Pd, Richetti, che ha sottolineato come «il partito seguirà le indicazioni del presidente del Consiglio», perché «non vogliamo provocare inciampi al governo». E come non bastasse, ha aggiunto che «nei prossimi sei mesi» dovranno andare avanti «solo le leggi che avranno una ragionevole certezza di ottenere il consenso in entrambe le Camere».
È stato un espediente che Renzi ha usato per allontanare da sé il sospetto di voler far saltare anticipatamente la legislatura o piuttosto un modo per evitare il botto sullo ius soli al Senato? Perché il tentativo di Gentiloni di convincere Alfano è andato a vuoto. Il premier ha chiesto al leader di Ap «un ultimo sforzo»: «Vi chiedo un gesto di responsabilità». Ma il titolare degli Esteri ha spiegato i motivi per cui la delegazione centrista «non è nelle condizioni di autorizzare la richiesta di fiducia» da parte del governo in materia di cittadinanza. Intanto il Consiglio dei ministri non ha mai affrontato il tema, che non fa parte del programma, eppoi al Senato il calendario è intasato da decreti in scadenza fino ad agosto: dai «Vaccini» al «Salvabanche», passando per il dl sul «Sud», senza contare il testo sulla «Sicurezza» e quello sulla «Concorrenza».
Alfano continua a considerare «politicamente inopportuna» questa fretta e ha avvisato che — qualora a maggioranza il Consiglio dei ministri autorizzasse la fiducia — riunirebbe il suo gruppo per decidere l’orientamento sullo ius soli. Così ha garantito un margine di manovra al premier, perché Ap potrebbe uscire dall’Aula nel caso si arrivasse alla fiducia, che al Senato per regolamento viene posta sul voto finale di un testo. Dunque, se il Pd proprio vuole, deve trovarsi i numeri in Aula. Perciò Gentiloni si è preso tempo, per verificarlo. Per questo il capogruppo dem Zanda — in un gioco di dichiarazioni concordate — in serata ha fatto mostra di rispondere a Richetti, sottolineando che «come al solito» questo lavoro sui numeri sarà fatto «in modo scrupoloso».
Al gioco di Palazzo ha partecipato anche Ap, che attraverso i suoi capigruppo — Bianconi e Lupi — aveva già commentato positivamente le parole del portavoce democrat: «Niente fiducia e discussione in Aula». Ma siccome in Aula lo ius soli non ci arriverà senza numeri certi, toccherà al premier gestire il cerino acceso da Renzi. È Renzi stesso ad averglielo chiesto: «O metti la fiducia o dici pubblicamente che non ci sono le condizioni politiche per farlo». A quel punto il provvedimento slitterebbe dopo l’estate, siccome il leader del Pd non può permettersi che sia un incidente di percorso in Aula a provocarne il ritiro. Così una mossa tattica ha messo spalle al muro Gentiloni: tocca a lui salvare il «soldato Matteo».
L’obiettivo L’ex premier ha accelerato sulla riforma per assecondare un’agenda «di sinistra»