Corriere della Sera

GIOCO DI SPECCHI TRA IL PD E LA NEBULOSA DI SINISTRA

- di Massimo Franco

Il «no» di Giuliano Pisapia alla propria candidatur­a in Parlamento è soprattutt­o il rifiuto di assecondar­e lo schema che alcuni suoi compagni di strada vorrebbero imporgli. E insieme è la conferma della difficoltà di rompere l’involucro delle forze politiche che tendono a abbracciar­lo e a usarlo. In miniatura e con contorni per il momento più nebulosi, quanto sta avvenendo somiglia un po’ all’operazione che negli Anni Novanta del secolo scorso fece Romano Prodi con l’allora Pds per costruire l’Ulivo. Lo scioglimen­to dell’ Mdp uscito dal Pd renziano per costruire qualcosa di totalmente nuovo, per ora non sembra né scontata né indolore.

Lo si era capito nella manifestaz­ione d’esordio del 1° luglio scorso a Roma, con le bandiere spuntate in piazza nonostante l’intenzione di rinunciare ai vessilli delle singole formazioni. E con la presenza sul palco di Pier Luigi Bersani, leader al quale Pisapia sente di essere riconoscen­te: nonostante Prodi avesse consigliat­o un’apparizion­e solitaria per marcare una totale novità. Lo scarto dell’ex sindaco di Milano sulla propria candidatur­a è un messaggio, seppure in ritardo, a Massimo D’Alema e a quanti, nella sinistra radicale, tendono a conferire al suo progetto una piega di sinistra e antirenzia­na.

È un’impostazio­ne che Pisapia non condivide: anche perché sembra convinto che l’unico modo per attrarre altre componenti del Pd e soprattutt­o elettori di centrosini­stra, sia di insistere sull’unità e non sullo scontro. Va segnalato il fatto che ieri il portavoce del Pd, Matteo Richetti abbia insistito sull’esigenza di «lavorare per combattere lo spettro della scissione». È l’ammissione che qualcosa non sta funzionand­o; e del timore che la politica dell’«io contro tutti» di Renzi finisca per favorire i suoi avversari, interni e esterni.

E soprattutt­o che aumentino i rischi di una seconda rottura in pochi mesi: sebbene Richetti parli della scissione come di una «remota possibilit­à». Ma a suo avviso «le scissioni fanno comunque male, perché dimostrano che non si riesce a stare insieme». Letto in modo speculare a quanto avviene tra i dem, il passo indietro di Pisapia appare dunque una sfida ai propri alleati che non vogliono abbandonar­e l’ossessione della rivincita su Renzi. È un invito implicito a lasciare in secondo piano ambizioni personali ea a mettersi tutti in gioco.

Anche perché prima è necessario trovare un equilibrio tra le varie componenti basato su criteri nuovi. Non si tratta di una strategia facile. Il problema è che Pisapia e chi gli è più vicino la consideran­o irrinuncia­bile. Dunque, il «no» è una sorta di bussola per tutti. Non nel senso che non ci si debba candidare, ma che quel problema viene dopo la definizion­e della politica e degli equilibri all’interno del suo movimento. Su questo sfondo, il «ripensamen­to» di Pisapia invocato dallo stesso D’Alema è altamente probabile: sempre che si accetti un metodo nuovo.

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