L’avvocato, l’informatico «Così il regime rende invisibili i suoi nemici»
La Cina non è la Russia sovietica. E nemmeno quella putiniana. L’attività dei dissidenti fa poco rumore. Al di là del volto più noto della dissidenza nella Repubblica Popolare — l’appena scomparso premio Nobel per la Pace Liu Xiaobo — gli altri personaggi che hanno sfidato il potere del Partito sono per lo più avvolti da una fitta nebbia che rende difficile seguirne le sorti in Patria. In genere, a tutti gli oppositori del regime prima o poi viene offerta (in particolare quando uno Stato occidentale ne prende a cuore le sorti) la possibilità di andare in esilio.
È accaduto in passato a Wei Jingsheng, Wu’er Kaixi, Wang Dan tre leader della rivolta di piazza Tienanmen; e anche a Chen Guangcheng, l’avvocato cieco che però ha dovuto rischiosamente beffare le autorità per entrare, di soppiatto, nell’ambasciata americana a Pechino, prima di ottenere il via libera. Oppure a Ai Weiwei, il rinomato artista che dopo molte vicissitudini a Pechino ora vive in Germania.
Gli altri? Per sapere chi siano occorre scavare nelle liste dei prigionieri politici aggiornate da istituzioni quali Human Rights in China (sede a New York) o la Commissione esecutiva del Congresso Usa sulla Cina, presieduta da Marco Rubio. In ogni caso, le informazioni sono scarse; il più delle volte mancano — ribadiamo: per coloro che non possono o non vogliono lasciare la Cina — dati precisi sui luoghi di residenza o di detenzione. «Purtroppo tutto questo è normale — dice al Corriere Mi Ling Tsui direttrice alla comunicazione di Human Rights in China —. Fa parte della strategia del governo trasformare in un essere invisibile chiunque osi criticare l’ordine costituito».
Tra gli «invisibili» ci sono poeti, artisti, scrittori, avvocati. Ma anche semplici operai. Come Miao Deshun, arrestato dopo la rivolta di piazza Tienanmen, condannato a morte (pena commutata in ergastolo), è stato liberato l’anno scorso per ragioni di salute: non è più un «pericolo» per la società.
Tra i dissidenti di cui in Occidente si sa poco — se non nulla — c’è, per esempio, Wang Quangzhang. «È un avvocato — ci dice ancora Mi Ling Tsui — fermato nel luglio 2015 nel corso della “repressione dei 709” (legali e attivisti
dei diritti umani finiti nel mirino delle autorità, ndr). A Wang non è masi stato dato accesso a un difensore di fiducia. Sua moglie sta ancora cercando di sapere dove si trovi il marito e di che cosa sia materialmente accusato».
Altro caso è quello di Huang Qi, fondatore del sito 64Tianwang.com, dove le cifre 6 e 4 fanno riferimento al movimento di piazza Tienanmen. «È stato arrestato nel novembre del 2016 — precisa Mi Ling Tsui —. Sappiamo che è accusato di aver “diffuso segreti di Stato”. Ma nulla di più». Huang inizialmente aveva vissuto un momento di celebrità, in Cina, perché il suo sito era una risorsa per rintracciare le persone scomparse. I guai, per lui, sono cominciati quando ha allargato i suoi interessi ai cittadini che, per vari motivi, finivano nelle maglie della polizia politica facendo perdere le loro tracce.
Esempio emblematico è quello di Jiang Tianyong, lui stesso un avvocato, svanito nel nulla lo scorso novembre dopo aver assistito la moglie di uno dei legali presi di mira nel corso della campagna contro i «709»: «La poveretta cercava di capire dove fosse detenuto il marito, senza successo. E alla fine è scomparso anche Jiang. Solo di recente le autorità lo hanno mostrato in un video registrato all’interno di una struttura di detenzione: ma non è stato possibile capire quale fosse il suo stato di salute».