La maledizione di un artista (non) imitabile
Èmaledetto il destino di Amedeo Modigliani. Una vita estrema, segnata da ansie e da emarginazioni. È l’esistenza di un grande eccentrico, che ha dialogato con alcuni tra i protagonisti delle avanguardie. Poi, la consacrazione mediatica: postuma. Dopo la morte, Modigliani diventa altro. Una leggenda: prima che un grande artista, capace di saldare suggestioni tratte da Brancusi con riferimenti alla statuaria classica. Un mito moderno: non troppo diverso da Jim Morrison. Un’icona, la cui fortuna si è manifestata attraverso grandi antologiche e studi critici, ma anche (e soprattutto) attraverso biografie romanzate e filmate. E, inoltre: gadget. Infine, i falsi. Ecco: Modigliani è tra gli artisti che sono stati maggiormente usati, citati e sfruttati dai falsari. Forse, perché il suo è uno stile che, in sé, appare già predisposto per essere replicato: quasi pop. Anche se alcune alchimie sottese alle iconografie di Modigliani restano impossibili da «mimare». Esemplare l’avventura delle sculture ritrovate a Livorno nel 1984: «due paracarri», le giudicò Federico Zeri. Ma, in quell’occasione, si trattò di una beffa. Diverso quel che è avvenuto a Genova, dove in uno spazio pubblico è stata organizzata una mostra che ha presentato 21 opere di dubbia autenticità (ieri sequestrate). Tele che, una volta «entrate» in un luogo come Palazzo Ducale, avrebbero circolato o sarebbero state rivendute a cifre alte. Puntando sulla scarsa attenzione o sulla collusione di esperti (o presunti tali). I responsabili di Palazzo Ducale affermano di essersi limitati ad aver commissionato la mostra a una società for profit (MondoMostre Skira), che dal canto suo conferma fiducia al curatore, Rudy Chiappini. Ma — occorre chiedere — come sono arrivate queste opere a Genova? Da chi? Chi sta dietro queste speculazioni? Infine, sono davvero tutte «croste»? Impossibile dipanare la matassa, dominata da pericolosi equivoci. Altrove vicende simili sarebbero inaccettabili. In una nazione normale, un sito museale non può (e non deve) limitarsi ad affidare a partner privati la responsabilità di progettare e di organizzare mostre. In Italia, questo accade ovunque. Sarebbe opportuno che le amministrazioni locali ricominciassero a orientare le proprie attività culturali con rigore. In autonomia. Recuperando finalmente quella dignità e quella moralità che oggi appaiono smarrite.