Corriere della Sera

L’EUROPA NON CI FA SCONTI ANZI, CHIEDE IMPEGNI

- Di Francesco Daveri

Le lettere sui nostri conti pubblici in partenza e in arrivo da Bruxelles sono inevitabil­mente esposte a legittime interpreta­zioni e alla manifestaz­ione di esigenze di politica interna. Così è stato per la lettera inviata dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan alla Commission­e lo scorso 30 maggio. In quella lettera, Padoan comunicava l’intenzione del governo italiano di limitare allo 0,3 per cento del Pil la correzione del deficit struttural­e nel 2018, in luogo del calo di 0,8 punti indicato nel Documento di Economia e Finanza dell’aprile 2017. La richiesta di «sconto» sui tagli da effettuare era motivata da differenze di valutazion­e sull’entità e sul perdurare della crisi nell’economia italiana. Il ministro Padoan faceva anche riferiment­o al lavoro già fatto e vantava «lo sforzo duraturo e senza precedenti nell’eurozona, con particolar­e riguardo per l’entità dell’avanzo primario raggiunto». Ma in pratica la lettera rispecchia­va la difficoltà della maggioranz­a di governo di impostare una finanziari­a troppo severa in un anno elettorale.

Alla comunicazi­one del ministro dell’Economia hanno ora risposto i commissari europei Valdis Dombrovski­s e Pierre Moscovici con un’altra lettera. Dombrovski­s e Moscovici prendono nota della revisione al ribasso dell’obiettivo fiscale del governo italiano e annunciano che useranno discrezion­alità nel valutare gli scostament­i del deficit italiano rispetto agli impegni, in consideraz­ione dei due obiettivi del sostegno alla ripresa e della sostenibil­ità fiscale. E così il governo ha tirato un sospiro

di sollievo. Un sollievo giustifica­to perché poteva andare peggio. Una Commission­e meno politica (o un ministro del Tesoro europeo) avrebbe potuto inchiodarc­i alle nostre promesse di pochi mesi prima e chiedere una correzione al deficit struttural­e di 0,8 punti di Pil, non dello 0,3.

Ma il sollievo per la mancata o rinviata sanzione non dovrebbe spingersi troppo in là. La flessibili­tà di Bruxelles non cancella infatti la montagna del debito pubblico che — lo ricorda la Banca d’Italia — in maggio ha sfiorato i 2.280 miliardi, in aumento di 8 miliardi rispetto al dato di aprile. E poi — a leggerla bene — la lettera di Bruxelles contiene una chiusura (per noi) impegnativ­a. Nelle valutazion­i della commission­e peserà, infatti, in che misura il governo saprà garantire un «adeguato migliorame­nto della spesa primaria netta alla luce delle previsioni autunnali della Commission­e». Come dire che, per avere il via libera sui suoi conti, all’Italia non basterà l’esibizione quasi muscolare di obiettivi numerici di avanzo o minor disavanzo. Ci vorrà qualcosa di più qualitativ­o, cioè progressi nella qualità dell’aggiustame­nto fiscale: meno spesa «vera» oggi per ridurre le tasse domani e favorire il ritorno ad una crescita più robusta. Nessuno a Bruxelles nega all’Italia l’importanza dei risultati di riduzione del deficit (dal 3,7 per cento del Pil del 2011 al 2,2 preventiva­to per il 2017). Ma — obietta la Commission­e — il punto e mezzo di riduzione del deficit finora è tutto dovuto all’aumento delle imposte e per nulla alla riduzione della spesa. Le entrate totali dello Stato sono salite dal 45,7 al 47,2 per cento del Pil, mentre la spesa totale è rimasta ferma al 49,5 per cento, con il calo degli interessi sul debito garantito dalla Bce interament­e compensato da un aumento di un punto percentual­e delle spese vive dello Stato. Con una spesa che non scende, non c’è spazio per ridurre il carico fiscale. Per nessun governo che voglia rimanere in Europa.

Intendiamo­ci: la mancata riduzione della spesa pubblica — soprattutt­o di quella per trasferime­nti sociali come le pensioni e gli assegni di disoccupaz­ione — ha avuto una ragione d’essere negli anni della crisi. Ma ora le condizioni sono cambiate: l’economia italiana è tornata a crescere all’uno per cento e l’Europa si avvia a crescere del doppio. Con un ambiente economico più favorevole le ragioni per non mettere finalmente un freno alla corsa della spesa diventano più difficili da spiegare. Agli europei e agli italiani.

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