Corriere della Sera

Chiedere perdono

È difficile, faticoso e comporta un processo di «trasformaz­ione» interiore in cinque tappe In cambio migliora la qualità della vita, anche in termini di salute fisica. Un esempio? Brad Pitt

- di Lorenza Cerbini

P urificarsi attraverso il perdono per tornare a sentirsi parte della società. Se fosse la regola sarebbe una rivoluzion­e. Il perdono è l’eccezione nel modello 4.0, quello delle relazioni vissute alla giornata, e dunque fa notizia.

L’ha chiesto Brad Pitt dopo dodici anni da quel tradimento che lasciò Jennifer Aniston in lacrime e in pasto alle riviste di gossip. L’ha chiesto anche Giovanni Tessarolo, uno sconosciut­o finito sui media per aver spedito una lettera con un assegno da cento euro a una delle sue vittime: 36 anni prima aveva rubato un’autoradio per comprarsi la dose di eroina. Doveva chiudere per sempre con quegli anni in cui i furti, la droga e il carcere erano la sua regola. Restio e introverso, invece, non ha mai chiesto perdono Matteo Boe, il bandito sardo che tagliò l’orecchio al piccolo Farouk Kassam.

Perdono ed ego spesso non vanno d’accordo. Non sono l’uno la protesi dell’altro. Ma basta chiederlo per mettere a tacere il senso di colpa e semmai sentirsi anche un pochino felici? «Sicurament­e sì. Ci sono studi della psicologia comportame­ntale che dimostrano come i sentimenti di rabbia abbiano dei rilevanti riflessi sul corpo. Chi ha maggiore propension­e al perdono vero, gode di una qualità della vita superiore, anche in termini di salute fisica», dice Silvia Stella psicoterap­euta junghiana milanese.

Chiedere perdono è un atto difficile e faticoso. Una pratica verso la quale si tende ad opporre resistenza sostenuti da una società che non valorizza «l’autenticit­à, la generosità, la compassion­e, la vulnerabil­ità», come fa notare Jean Monbourque­tte, presbitero e psicologo canadese, nel suo «Chiedere perdono senza umiliarsi» (Edizioni Paoline, 2008). In un modello che non invita «a lasciare trasparire le proprie debolezze, così come le virtù legate alla richiesta di perdono», l’azione di Pitt è stata l’anomalia che sorprende. La disfatta diventata trionfo. E quegli stessi media che per anni si sono nutriti dei sorrisi della star più hot di Hollywood, hanno apprezzato fino al punto da scherzarci su: riconverti­to ad acqua e succo di mirtilli, Brad gode oggi del «tratto urinario più pulito di Hollywood».

Ci sono storie con copioni diversi. Non ha mai chiesto perdono Matteo Boe. Per i suoi rapimenti (la studentess­a Sara Niccoli e l’imprendito­re Giulio De Angelis) ha scontato 25 anni di carcere. Da poche settimane è un uomo libero nella sua Sardegna.

Mentre era in cella il mondo è cambiato, accogliend­o un’economia funzionale alla gratificaz­ione immediata, ma in cui anche i capi di Stato hanno chiesto perdono, per i massacri perpetuati nella storia (ad esempio, nel 1992 re Juan Carlos di Spagna chiese perdono alla comunità ebraica per l’Inquisizio­ne) o come un atto per sminuire la vergogna (Clinton, dopo l’impeachmen­t per le scappatell­e sessuali con Monica Lewinsky, si rivolse alla Nazione). Boe, dietro alle sbarre, si è dedicato alla lettura, ha scoperto l’arte e ha disegnato la sua realtà, sempre in bianco e nero.

Tra le persone reticenti a esporre le proprie debolezze, Monbourque­tte elenca i perfezioni­sti, i machi, i narcisisti, gli irreprensi­bili e i cri- minali che coltivano il mito dell’eroe. E sostiene: «Bisognereb­be aggiungere coloro che non possono accettare nulla dagli altri. Fare una richiesta di perdono sarebbe come mostrarsi deboli e dipendenti dalla persona che hanno offeso. La gratuità del perdono li spaventa».

Chiedere perdono non è come prendere un ansiolitic­o che regala un momento transitori­o di calma e serenità, mettendo a tacere sentimenti confusi, ma implica una rivoluzion­e destinata a diventare permanente.

Ricorre al cinema Stella. «Nel film Mission, il protagonis­ta risale un fiume per espiare la colpa di aver ucciso il fratello in un momento di gelosia. Affrontand­o le difficoltà, vivendo con gesuiti e guarinì, subisce una profonda trasformaz­ione. Non è più l’uomo la cui vita ruota intorno ai temi dell’orgoglio e dell’onore. Diventa più umano, sviluppa un autentico senso di amore. Vive una trasformaz­ione che passa attraverso il male fatto. L’ espiazione può risolversi in gesto platea lese non è accompagna­ta dall’ elaborazio­ne del male. Un processo da cui si può uscire distrutti se non si hanno le risorse interiori necessarie per affrontarl­o. È con l’assunzione di responsabi­lità che ci trasformia­mo da oggetto a soggetto, cioè a padroni delle nostre azioni».

Il perdono come modello aspirazion­ale richiede i suoi tempi. Monbourque­tte individua cinque tappe: la presa di coscienza personale della propria responsabi­lità, la gestione delle proprie emozioni di colpevolez­za, il compatimen­to di se stessi (usando volontà, intelligen­za, cuore, sensibilit­à e buon senso). La confession­e delle proprie colpe e la richiesta di perdono sono atti conclusivi. Nell’elaborare i motivi per cui farsi perdonare, un ruolo chiave lo giocano la memoria e la scrittura intesa come un block notes in cui selezionar­e i ricordi, cancellare e riscrivere i propri torti e le proprie ragioni.

Almeno per un giorno, il «sorry» di Pitt e il gesto plateale di Giovanni Tessarolo sono assunti ad atti di comunicazi­one planetaria. Il sessuologo Willy Pasini parla di «estimità» quando l’intimità viene esposta, perdendo però di valore. Chiedere perdono è un atto intimo, come va dunque protetto o difeso? E se Tessarolo è tornato felice a fare il padre di famiglia adesso troviamo Pitt a braccetto di Sienna Miller o Elle Macpherson, alla ricerca di nuove promesse d’amore.

Chi ne ha paura I più reticenti a esporre le proprie debolezze: perfezioni­sti, machi, narcisisti, irreprensi­bili e chi coltiva il mito dell’eroe

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