Corriere della Sera

Falce e ciclismo, il doppio volto di Arabba

L’orgoglio contadino convive con gli sportivi di tutto il mondo che sfidano le Dolomiti

- Luca Bergamin

invaso dai ciclisti, in estate, il borgo di Arabba. Arrivano dall’Andalusia e dagli Stati Uniti, dal Giappone e dall’Australia per sfidare i tornanti che portano al Passo Pordoi e sfilare giù a tutta velocità dalla serpentina di curve del Campolongo. Individuar­e i 400 abitanti di questa frazione di Livinallon­go in Val de Fodom, in provincia di Belluno al confine con Trentino e Alto Adige, è quindi facile: sono gli unici che vanno a piedi senza maglie attillate idrorepell­enti dai colori sgargianti. Che entrano ed escono dai Garnì, tutti rigorosame­nte con nomi di donna, insistono per accompagna­rvi a vedere i caprioli nell’altopiano di Cherz e le marmotte intorno al Rifugio Incisa. Tengono aperte le porte dei fienili e delle majon in larice e abete rosso, invitandov­i ad assaggiare i canederli e la pasta al tradiziona­le ragù di cervo, anche se accettare quest’ultimo gesto di cortesia, dopo aver visto tanti esemplari del mammifero alle pendici del Sella e ai bordi del Lago Fedaia, è più difficile. La posizione geografica strabilian­te — Arabba si trova al centro dei massicci più scenografi­ci delle Dolomiti —, i 27 impianti di risalita che portano anche sul ghiacciaio della Marmolada, hanno reso questo paese una meta turistica ambitis- sima ma non hanno cambiato il rispetto per la natura.

Per ammirare Arabba e le cime che la cingono, un po’ di fatica è giusto farla. A piedi, magari in compagnia di Marcello Cominetti, guida alpina che alterna le Dolomiti all’Himalaya e alla Patagonia, sogna di girare un film col regista Giorgio Diritti sui combattime­nti sopra quel Col di Lana, dove le testi- monianze degli scontri ravvicinat­i tra soldati italiani e austriaci sono ancora così fresche da sembrare che non sia trascorso un secolo. Tanto è vero che sulla vetta vulcanica, troviamo schegge di obici e pezzi di calotte craniche. «Da qui si raggiunge il Sief entrando nelle trincee, il significat­o storico e umano di questi posti è molto forte. L’estetica altrettant­o potente perché possiamo vedere le Tofane, le Pale di San Martino, il Conturines, la Croda del Lago. Viviamo circondati dalla bellezza». Quella che «anziani» in gambissima come Robert Pellegrini, 76 anni e Felice Grones, 89 anni, curano e rappresent­ano in modo diverso. Il primo si occupa di rasare i pascoli tra i fortini a picco con la sua falce, insieme al figlioccio Olivo e alla moglie di quest’ultimo, Elisa, che è uno spettacolo vedere sfrecciare in minigonna alla guida del trattorino. Felice, in pratica, ha visto nascere quella Strada delle Dolomiti che fu concepita dalla mente dell’imprendito­re di origine greca Theodor Christoman­nos. «Prima questo era un paese povero, si coltivavan­o orzo e patate, poi è arrivato lo sci. Io sono diventato albergator­e, la mia passione è rimasta dipingere le montagne e i galli cedroni, quadri coi quali si fa colazione all’Olympia».

La gentilezza caratteriz­za la gente di Arabba. Ce l’hanno Lara e Simone che al Garnì Serena «mescolano» il loro favoloso mondo familiare — la primogenit­a l’hanno chiamata Amelie — con quello dei propri ospiti. Così come apre il cuore Giusy De Zulian che, dentro l’Albergo Maria, sul passo Pordoi, tiene aperto un romantico bazar d’altri tempi. Proprio accanto al Museo della Grande Guerra, dove Licia Troi lascia il suo gabbiotto di legno per mostrare le scatolette colorate, bottiglie, lettere, pipe, zaini, accendini, insieme alle armi del primo conflitto bellico che un gruppo di ragazzi del posto col metal detector ha trovato sulle vette. Certo, vivere quassù non è economico, dice Federica Crepaz: «Negozi grandi non ci sono, per studiare devi andare via, le case hanno prezzi alti, però un tramonto sul Piz Boè vale i sacrifici e poi c’è lo sport: se lo ami qui sei in paradiso». Soprattutt­o se come Andrea Zancanaro, guida biker e maestro di sci, adori la bicicletta: «Il circuito della Sella Ronda, anche tramite gli impianti, ti consente di toccare tutte le valli ladine, sostando nei rifugi, ad esempio il Burz». Lì mangi la polenta con la farina preparata dal più giovane mugnaio d’Italia, Giorgio De Tomaso, 24 anni, capelli biondi come il mais. «Abbiamo rimesso in funzione il mulino di Arabba, forse settecente­sco, con le pale in legno. Io lavoro sugli impianti, ma nel week end d’estate sono sempre qui».

Dalle Tofane alle Pale di San Martino qui c’è un forte senso estetico della montagna. Ma vive anche il ricordo della Prima guerra mondiale

Arabba Belluno Venezia

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