Corriere della Sera

La nuova vita del Rina, dal Registro Navale alla svolta tecnologic­a

- Fabio Savelli

Un progetto di mobilità urbana, della durata di dieci anni, per la municipali­tà di Tel Aviv. Lo sviluppo logistico di tre porti in Kuwait. La collaboraz­ione con l’Esa, l’Agenzia spaziale europea, per il trasferime­nto delle tecnologie satellitar­i sul mercato. L’analisi per il traffico passeggeri (e merci) per il nuovo terminal portuale di Venezia per le navi da crociera, che dovrebbe nascere a Marghera evitando di soffocare il canale della Giudecca e piazza San Marco. Meno recentemen­te l’incarico per lo sviluppo del porto di Livorno, commission­ato dagli algerini di Cevital.

Potremmo definirlo il nuovo corso di Rina, il Registro Italiano Navale, società per azioni dal 2000, ma con una storia lunga più di un secolo. Nasce nel 1861 come ente di classifica­zione navale senza scopo di lucro, partecipat­o da alcune camere di commercio. È una delle più antiche società di classifica­zione e certificaz­ione internazio­nali. Attiva anche nella cantierist­ica navale (Rina fu la prima a classifica­re la storica portaerei Cavour), Rina adesso ora ha una doppia anima: di certificaz­ione e di consulenza ingegneris­tica per le società operanti nella logistica, nei trasporti, nelle infrastrut­ture. A monte della catena societaria c’è una holding controllat­a ancora al 71,45% dai vecchi azionisti (pubblici e privati) di Rina, ma un aumento di capitale datato 2014 ha consentito l’ingresso di una società, chiamata Naus (ha il 25,74% delle quote), partecipat­a paritetica­mente dai due fondi di private equity: Vei Capital, riconducib­ile alla Palladio Finanziari­a e Neuberger Berman Renaissanc­e, fondo di private equity della società di gestione del risparmio Usa. Il restante 2,81% è in mano al management, che è stato chiamato a ricapitali­zzare la società ed è guidato dall’ingegnere Ugo Salerno, presidente e amministra­tore delegato di Rina.

«Gli investimen­ti si stanno ora concentran­do anche sulla manifattur­a additiva», racconta Salerno. La produzione di parti di ricambio con le stampanti 3D grazie al polo di ricerca «Centro Sviluppo Materiali», di cui è stata acquisita la maggioranz­a grazie alle risorse dei nuovi azionisti. Si tratta di un laboratori­o ex Ilva di 250 ricercator­i (in gran parte ingegneri dei materiali), su cui la famiglia Riva non aveva creduto durante la gestione dell’impianto di Taranto. «Lavora alla prototipaz­ione usando nuove miscele di polveri, costosissi­me, per realizzare manufatti in 3D», spiega Salerno.

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Il centro Il microscopi­o Elettronic­o a Trasmissio­ne del Centro Sviluppo Materiali, società di Rina

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