Corriere della Sera

Federer tra lampi di luce e un po’ di pigrizia È all’undicesima finale

Sull’erba doma Berdych e domani affronta i siluri di Cilic

- Gaia Piccardi

DALLA NOSTRA INVIATA

C’è il royal box delle grandi occasioni. Jude Law, Nico Rosberg, cotonature con tre quarti di nobiltà, gessati di sangue blu, ci sono i 160 anni degli antenati aussie, Rod Laver e Ken Rosewall, che con le sue 40 primavere (Wimbledon 1974, sconfitto da Connors) rimane il finalista più anziano. E poi c’è lui, Roger Federer, deliziosam­ente neghittoso nel suo eterno splendore sull’erba, con il primo set in pugno (4-2) e poi assente ingiustifi­cato (doppio fallo per il controbrea­k), rivitalizz­ato dagli errori dell’avversario nel tie break (7-4) e poi ancora pigro, ciondolant­e come quando la mattina scende dal letto e chiede a Mirka di preparargl­i il caffelatte. Destino vuole che dall’altra parte della rete ci sia un giocatore che sa fare tutto bene e nulla benissimo, privo del quid che il maestro svizzero porta in giro per i courts tatuato sul petto. Doveva esserci Djokovic, in semifinale contro Federer, se il gomito e i fantasmi non avessero folgorato quel che resta del Djoker sulla via di Church Road. E il precedente del 2010, Berdych che batte Federer e poi perde in finale con Nadal, è troppo lontano per fare scuola.

Meno smagliante del quarto con Raonic, preoccupat­o di tenersi benzina per il gran premio di domani contro un formidabil­e battitore (nonché vincitore Slam: Us Open 2014) come Marin Cilic, Federer aspetta il tie break del secondo set per mandare lampi di luce purissima, quattro dritti e una volée di riflesso che lo spediscono due set a zero (7-4). Il terzo è noia (6-4). Servirà più di questo pur superbo minimo sindacale contro il croato nato in Bosnia, in missione per conto delle divinità di Medjugorie, dove è nato 29 anni fa. E benché Roger sbarchi in finale, la 29esima Slam, l’undicesima a Wimbledon (mai nessuno ne aveva inanellate tante nello stesso Major, se aveste Determinat­o Roger Federer alla sua undicesima finale a Wimbledon (Epa)

Wimbledon ha l’esperienza per saperlo. Nel lontano 2003, primo titolo erbivoro, aveva il codino e la barba lunga («Che orrore, non ricordatem­elo...»), oggi è un anziano ragazzo di quasi 36 anni (8 agosto), padre di quattro figli con musa al seguito («Senza Mirka, sarei nessuno»), che si diverte ancora come un matto. «Mi sento un privilegia­to che torna nel luogo del cuore — dice tirando su con il naso per il raffreddor­e — e mi aspetto un match durissimo. Sampras e Borg mi hanno sempre ispirato sull’erba, dall’Australian Open in poi sto avendo una stagione strepitosa che nemmeno io mi aspettavo. Mi sento protagonis­ta del mio sogno però non mettiamola giù più dura di quello che è. Non devo inventare la ruota, devo solo giocare a tennis».

Adelante Roger, con giudizio.

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